Elezioni statunitensi: l’ultimo miglio
Le elezioni presidenziali e politiche sono in corso in tutta l’America, con i
cittadini di più della metà degli stati che votano o hanno già votato per posta
o di persona prima di martedì 5 novembre, la data ufficiale delle elezioni.
Sebbene l’esito incerto di queste elezioni possa essere considerato una
conseguenza del clima politico polarizzato, è importante ricordare che le
presidenziali sono spesso decise all’ultimo. Dal 1960, sei diverse elezioni sono
state decise da meno di 150 mila voti in pochi stati.
Potremmo aspettare giorni o addirittura settimane per conoscere il vincitore.
Il conteggio manuale delle schede postali, le richieste di riconteggio e le cause
legali da entrambe le parti potrebbero prolungare l’attesa. L’annuncio finale
potrebbe teoricamente slittare fino a metà dicembre.
La campagna elettorale è stata caratterizzata da clamorosi colpi di scena,
dall’attentato a Trump in Pennsylvania al cambio in corsa del candidato
democratico, con Kamala Harris che ha riportato il partito in vantaggio nei
sondaggi per poi cedere una parte del vantaggio negli stati chiave per le
elezioni, quelli in bilico tra i due partiti.
Le posizioni sono nettamente contrapposte: democratici e repubblicani
hanno visioni molto diverse su come gestire l’economia, a partire dalla politica fiscale.
Le proposte di Kamala Harris, in linea con l’amministrazione Biden, mirano a
ridurre le disuguaglianze e favorire la transizione energetica, confermando i
piani di spesa e gli incentivi dell’Inflation Reduction Act (IRA) e gli investimenti
per l’assistenza sanitaria. Parallelamente, la regolamentazione di alcuni
settori, in particolare l’antitrust, verrebbe rafforzata.
Gli sgravi fiscali per le aziende approvati da Trump nel 2017 verrebbero lasciati
scadere, incrementando così le aliquote delle imposte sulle società. Anche
la tassazione marginale sulle persone fisiche e la tassazione di plusvalenze e
immobili aumenterebbe.
Queste politiche potrebbero ridurre leggermente la crescita economica,
mentre l’effetto disinflazionistico potrebbe portare a tagli dei tassi d’interesse
più rapidi e, quindi, a un dollaro più debole.
Il programma di Donald Trump punta in direzione opposta: conferma
o addirittura riduzione delle aliquote fiscali per le società, riduzione
Il presente rapporto è stato elaborato da UBS Europe SE, Succursale Italia. Vi preghiamo di leggere i commenti di
natura legale in coda al documento. dell’aliquota marginale sulle persone fisiche e nessun aumento
dell’imposizione sulle plusvalenze. Alcuni incentivi dell’IRA potrebbero essere
cancellati e la supervisione regolamentare ridotta, a vantaggio soprattutto del
settore petrolifero e di quello finanziario.
L’impatto macroeconomico del programma repubblicano potrebbe essere
positivo per il prodotto interno lordo (PIL), ma la combinazione di minor
tassazione, meno immigrazione e più dazi potrebbe risultare inflattiva,
allontanando i tagli dei tassi d’interesse.
Tuttavia, deficit più alti e tensioni commerciali potrebbero indebolire il dollaro,
come auspicato dallo stesso Trump per favorire la manifattura statunitense.
La conferma degli sconti fiscali per le aziende avrebbe un impatto positivo
iniziale per la borsa, così come la promessa di una minor regolamentazione
per alcuni settori.
Entrambi i partiti condividono il protezionismo, ma con modalità diverse.
Trump favorisce i negoziati bilaterali e ha proposto dazi universali del 10%
su tutte le importazioni negli Stati Uniti e del 60% su quelle provenienti
dalla Cina. I democratici desiderano preservare l’alleanza transatlantica,
concentrandosi sugli scambi con la Cina.
Qualsiasi amministrazione dovrà confrontarsi con un debito federale di oltre
34 mila miliardi di dollari, che matura interessi di oltre mille miliardi di dollari
l’anno. Ci aspettiamo quindi che il dollaro si possa indebolire con entrambi
i candidati.
Negli ultimi giorni, il cosiddetto «Trump trade», ovvero la scelta di posizionarsi
sui titoli che potrebbero beneficiare di una vittoria di Trump, sembra essere
la narrativa dominante sul mercato, che sta scommettendo sulla continuità
di aliquote fiscali ridotte e su politiche più inflazionistiche, tra dazi e minor
immigrazione.
La borsa americana potrebbe invece inizialmente risentire dell’aumento della
tassazione e della maggior regolamentazione in caso di vittoria di Harris. Un
monitoraggio più rigoroso della concorrenza potrebbe avere un impatto sul
settore tecnologico. Al contrario, la conferma dei programmi legati all’IRA
sarebbe positiva per le aziende attive nella transizione energetica.
Tuttavia, occorre ricordare che, mentre le elezioni decideranno le politiche
fiscali, regolamentari e protezionistiche, queste influenzeranno la traiettoria
economica complessiva ai margini, piuttosto che alterarne drasticamente il
corso. Ciò sarà tanto più vero se il Congresso dovesse risultare diviso tra
democratici e repubblicani, con la necessità quindi di trovare compromessia metà strada.
Sullo sfondo, gli investitori si concentrano sempre sull’andamento degli utili.
societari. Finora le trimestrali sono state positive: le stime di ricavi e utili sono
state finora superate rispettivamente dal 60% e dal 75% delle aziende. In
media, gli utili sono del 3,3% superiori alle attese degli analisti.
La volatilità dei mercati è aumentata recentemente e potrebbe crescere
ulteriormente se i risultati elettorali tardassero ad arrivare, ma è probabile che
scenda verso fine anno, perché i percorsi politici dovrebbero chiarirsi dopo le
elezioni e la riunione della Federal Reserve del 18 dicembre, quando verranno
presentate le nuove proiezioni economiche che indicheranno la velocità della riduzione dei tassi d’interesse.
Nel complesso, cerchiamo quindi di guardare oltre le elezioni e rimaniamo
ottimisti sul mercato azionario statunitense e sull’azionario globale.