La settimana dei mercati (14 – 17 aprile 2025)
Una settimana più tranquilla per quanto riguarda il flusso di notizie sui dazi doganali ha visto i mercati scambiare in modo più calmo, con l’indice VIX della volatilità di mercato che è sceso a 30 per la prima volta dal “Liberation Day” del 2 aprile.
Sebbene l’incertezza sui tassi elevati dei dazi rimanga, la pausa di 90 giorni implica che potrebbe esserci un periodo più tranquillo, che permetterà ai mercati di consolidarsi un po’.
Dal nostro punto di vista, avevamo considerato molti dei dazi elevati (tranne quelli riguardanti la Cina) come probabilmente temporanei.
In definitiva, pensavamo che i dazi sarebbero stati legiferati dal Congresso nel corso dell’anno nel contesto del bilancio statunitense. Se non si legifera in materia di dazi, le entrate che ne derivano non saranno ammissibili nel bilancio e da tempo riteniamo che questi dollari siano destinati a finanziare ulteriori tagli fiscali.
La nostra previsione era di un dazio universale intorno al 10%, che sarebbe stato implementato entro la fine dell’anno, e che le tariffe attuali, implementate tramite ordine esecutivo, servissero più che altro come base per i negoziati. In questo senso, si potrebbe sperare che i Paesi d’oltreoceano abbassino effettivamente i propri dazi sugli Stati Uniti, in modo da permettere a Trump di fare un passo indietro.
Tuttavia, la cattiva gestione su larga scala dell’introduzione dei dazi il 2 aprile e nei giorni successivi è servita a minare la credibilità della politica statunitense e a indebolire la posizione di Washington nel far leva sulla sua agenda politica.
Con gran parte del resto del mondo che cerca di opporsi a Trump, ci chiediamo cosa porterà avanti l’Amministrazione una volta arrivati all’inizio di luglio.
Tuttavia, con la possibilità che si delinei un percorso legislativo verso dazi più moderati, potrebbe sembrare che il team di Trump sia più propenso a rimandare ulteriormente l’implementazione di ulteriori tariffe se altre nazioni decideranno di non reagire.
Se ciò dovesse accadere, i mercati potrebbero rallegrarsi del fatto che i dazi siano solo del 10%. Tuttavia, anche se questo fosse il risultato, dovremmo aspettarci una crescita più debole e un aumento dell’inflazione.
Nel frattempo, è probabile che abbiano un impatto anche i dazi settoriali, concepiti per garantire il re-shoring di settori cruciali, fondamentali per rendere l’economia statunitense più autosufficiente. Il numero di deroghe e di eccezioni rende l’impatto difficile da analizzare, anche se riteniamo che le perturbazioni della catena di approvvigionamento potrebbero essere aggravate dall’incertezza tariffaria.
A questo proposito, se gli esportatori dovessero sperare che i dazi potrebbero essere ridotti in futuro potrebbero rimandare l’invio di merci negli Stati Uniti sottoposte oggi a dazi. In questo caso, potrebbero verificarsi delle carenze che porterebbero a un aumento dei prezzi, in modo simile a quello a cui abbiamo assistito durante la pandemia, anche se in misura minore.
L’incertezza porterà anche gli investitori e i consumatori a rimandare investimenti e acquisti di grandi dimensioni, aggravando il colpo alla crescita.
Tuttavia, per il momento pensiamo che l’economia sottostante crescerà ancora intorno all’1% (ignorando il probabile rumore che vedremo come risultato delle importazioni di oro e metalli, nei prossimi dati sul Pil).
I bilanci dei consumatori e delle imprese si sono mantenuti in buona salute: non c’è un eccesso di leva finanziaria e, anche se la disoccupazione aumenterà, potrebbe essere limitata grazie al restringimento del mercato del lavoro sulla scia delle limitazioni all’immigrazione.
Un forte inasprimento delle condizioni finanziarie, se le azioni dovessero crollare di un altro 20% e gli spread creditizi ampliarsi, spingerebbe sicuramente l’economia in territorio recessivo, ma lo consideriamo ancora uno scenario di rischio, piuttosto che l’esito più probabile.
Nel frattempo, ci aspettiamo che l’inflazione statunitense si diriga verso il 4% a causa dei dazi. Le prospettive dei prezzi non saranno aiutate da un dollaro più debole.
La combinazione di prezzi in aumento e crescita in stallo farà probabilmente sì che la Fed ritenga di non poter fare nulla in termini di politica monetaria, notando che Powell ha un occhio di riguardo per la sua eredità e non vuole passare per il moderno Arthur Burns, come un presidente della Fed che ha perso il controllo dell’inflazione non una, ma due volte durante il suo mandato.
In questo caso vediamo un fair value sui rendimenti decennali intorno al 4,5%, anche se pensiamo che la curva dei rendimenti degli Stati Uniti si irripidirà nel tempo, dato che gli investitori chiedono un premio di rischio maggiore per detenere gli asset statunitensi. In questo modo, l’indebolimento della credibilità politica di Trump rischia di pesare sulla valutazione di tutti gli asset statunitensi, nonché del dollaro, per un bel po’ di tempo a venire.
Vediamo anche che gli investitori globali si stanno allontanando dagli Stati Uniti, in quanto l’eccezionalità della crescita del paese si sta esaurendo. Il TINA (there is no alternative) era la giustificazione per gli investitori d’oltreoceano che continuavano ad acquistare titoli statunitensi a valutazioni gonfiate, ma ora la situazione sembra essere radicalmente cambiata.
Se i flussi di capitale verso gli Stati Uniti saranno inferiori rispetto al passato potrebbe sembrare ragionevole aspettarsi che i giorni di un dollaro più forte siano ormai alle spalle ed è ipotizzabile che le valute che si sono sottovalutate, come lo yen, abbiano modo di recuperare nelle settimane e nei mesi a venire.
Riteniamo molto improbabile che la Cina o altri paesi vendano in massa i Treasury. Tuttavia, è molto ragionevole aspettarsi una diminuzione della domanda prospettica e questo potrebbe limitare la capacità di rally delle azioni e delle obbligazioni statunitensi, anche se il prossimo mese sarà un po’ più tranquillo di quanto non siano state le ultime due settimane.
Lontano dagli Stati Uniti, anche gli asset di rischio nei mercati d’oltreoceano hanno messo a segno una ripresa, che ha visto gli spread del credito sovrano e societario restringersi.
La sospensione da parte dell’Europa dei dazi doganali nei confronti degli Stati Uniti contribuisce a limitare per il momento lo shock inflazionistico nella regione e da questo punto di vista è comprensibile che la Bce abbasserà il suo tasso di riferimento al 2,25% nel corso della giornata di oggi, con un ulteriore taglio al 2% previsto nel corso di questo trimestre.
Tuttavia, riteniamo che i mercati stiano scontando un numero eccessivo di tagli della Bce, considerando la prospettiva di un allentamento fiscale in atto nello stesso periodo. Per quanto riguarda i rendimenti dei Bund decennali, li vediamo equi intorno al 2,75% e costosi sotto il 2,5%.
In Giappone abbiamo continuato ad assistere a un’eccessiva volatilità delle obbligazioni a più lunga scadenza e ciò evidenzia la relativa scarsa liquidità dei JGB, aggravata dai recenti sviluppi dei mercati esteri.
Le obbligazioni a 30 anni hanno registrato una drammatica sottoperformance questo mese a causa della capitolazione delle posizioni. Tuttavia, con l’irripidimento della curva dei rendimenti giapponesi (i rendimenti delle obbligazioni trentennali sono superiori di 200pb rispetto alla liquidità), vediamo un valore nella parte lunga della curva al di sopra del 2,5% e abbiamo incrementato le posizioni detenute.
Questa ripidità si riscontra anche in Australia, dove abbiamo aggiunto obbligazioni a lungo termine sulla base del fatto che sembrano estremamente a buon mercato, soprattutto in contrasto con le curve di altri paesi, come gli Stati Uniti, che a nostro avviso appaiono troppo piatte.
Guardando avanti
Parlando di volatilità, speriamo che il peggio sia ormai alle nostre spalle. Tuttavia, gli incontri in Asia di questa settimana hanno sottolineato l’impatto dei dazi di Trump sul commercio.
Le esportazioni cinesi si sono fermate e le merci si stanno accumulando nei porti. Questo sta già portando a una carenza di componenti necessari per i prodotti fabbricati altrove e vale la pena ricordare che una catena di approvvigionamento di componenti di provenienza globale è forte solo quanto l’anello più debole di questa catena.
Allo stesso tempo, i sondaggi sul sentiment degli investitori si sono spostati verso gli estremi ribassisti e la riduzione della leva finanziaria, che si è già verificata nell’ultimo mese, dovrebbe significare che i mercati si trovano ora su una base più solida rispetto a quando, solo poche settimane fa, citavamo la compiacenza degli investitori.
A questo proposito, siamo più propensi a sperare che Trump inizi a fare marcia indietro, piuttosto che raddoppiare, nei prossimi giorni, ritenendo che il suo approccio sarà pragmatico, piuttosto che dogmatico.
Allo stesso tempo, è difficile costruire una view rialzista sulle azioni statunitensi, anche se i premi al rischio altrove iniziano a normalizzarsi.
Tuttavia, il credito sembra trovarsi in una buona posizione, se la recessione sarà evitata.
Con Biden che ha regalato a Trump un’economia che cresce al 2,5-3,0%, sarebbe un atto di autolesionismo monumentale e storico se l’amministrazione statunitense dovesse architettare una recessione, interamente di sua iniziativa.
A questo proposito, Trump e la sua squadra non possono permettersi che i mercati perdano la fiducia nel quadro politico statunitense, poiché i mercati finanziari si basano sulla fiducia e una volta persa è difficile ripristinarla – soprattutto con la Fed mal equipaggiata per venire in soccorso.
Forse sarebbe meglio che Trump smettesse di twittare e dedicasse un po’ più di tempo al golf?