Italia: istruzioni per l’uso

Matteo Ramenghi -

Tanti anni fa, la Rai trasmetteva “Italia: istruzioni per l’uso”, un programma che cercava di far luce sulle contraddizioni del nostro Paese. Probabilmente oggi servirebbe qualcosa di simile per gli investitori che si interrogano sul mercato italiano.

L’indice MSCI Italy ha perso oltre il 10% dai massimi di maggio per via dei timori riguardo le politiche fiscali del nuovo governo e, addirittura, la permanenza nell’Euro. I titoli di Stato hanno sofferto ancora di più: il BTP decennale ha raggiunto un rendimento il 3% (oltre il doppio rispetto alla Spagna), quello a due anni rende l’1,5% (che si confronta con rendimenti negativi per la Spagna).

Il dibattito politico è concentrato sul debito pubblico mentre sarebbe opportuno vi fosse la tutela del risparmio. E’ bene ricordare, infatti, che gli italiani hanno molti più risparmi che debiti: il patrimonio ammonta, infatti, a oltre 9 mila miliardi di euro – circa quattro volte l’ammontare del debito pubblico. Inoltre, il 70% del debito pubblico è in mani italiane.

Ciò dimostra che un’uscita dall’euro produrrebbe un pesante impoverimento. In aggiunta a queste considerazioni, esistono le note barriere costituzionali che proteggono la nostra partecipazione alla moneta unica: non sono ammessi referendum su trattati internazionali e materie fiscali. Chiarito, quindi, che non ci aspettiamo un tentativo di uscita dall’euro – come del resto indicato dai principali esponenti del nuovo governo – restano comunque le preoccupazioni riguardo politiche fiscali che possano minare la sostenibilità del debito pubblico, causa il potenziale aumento del deficit implicito nel Contratto di governo di M5S-Lega.

Ad oggi, la sostenibilità del nostro debito pubblico è buona. L’Italia ha un robusto surplus primario (cioè lo Stato raccoglie più tasse di quanto spenda, senza tener conto degli interessi sul debito), il costo medio del debito è superiore al 3% e questo significa che,  prima dell’aumento dei rendimenti registrato nelle ultime settimane, le nuove emissioni consentivano una riduzione della spesa per interessi. Infatti, già da qualche trimestre il rapporto tra debito pubblico e PIL ha imboccato un sentiero di graduale riduzione.

Il Contratto di governo indica un aumento della spesa pubblica (reddito di cittadinanza e aggiustamenti alla Riforma Fornero) e una riduzione delle entrate (Flat tax). Le stime in circolazione indicano che il costo complessivo di queste misure, se applicate integralmente, sarebbe tra i 60 e i 125 miliardi di euro, una forchetta ampia e assolutamente fuori dalla portata del nostro bilancio statale: per evitare di pagare interessi troppo elevati che porterebbero a una spirale negativa occorre mantenere il rating e per farlo bisogna dimostrare una costante riduzione dell’indebitamento.

Gli investitori hanno reagito, quindi, vendendo BTP e azioni italiane. Le agenzie di rating e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno rimandato i propri giudizi in attesa delle prime misure concrete del nuovo esecutivo. Sperano quindi che il Contratto di governo venga rimodellato e applicato parzialmente per evitare uno stress ai conti pubblici. Positive indicazioni in questo senso sono venute lo scorso weekend dal MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze).
I prossimi passaggi istituzionali saranno indicativi della strada che verrà presa: già il 21 giugno si incontrerà l’Eurogruppo, il 28 giugno il Consiglio Europeo fino ad arrivare alla pubblicazione del Documento di Economia e Finanza a fine settembre e al disegno di Legge di Bilancio ad ottobre. Basterà un passo falso per far scappare altri investitori e far impennare i rendimenti.

Oggi, il BTP offre rendimenti elevati, soprattutto le scadenze più brevi. Alla luce di quanto esposto sulla sostenibilità del debito, in caso di ulteriori crolli potrebbero esserci opportunità di entrata. Non raccomandiamo i titoli con scadenze remote ma non vediamo nemmeno l’urgenza di ridurne l’esposizione, salvo nei casi di concentrazione eccessiva. Con riferimento al mercato azionario, abbiamo un posizionamento sottopeso per via dell’impatto che l’incertezza potrà avere sui consumi e sulle decisioni di investimento, nonché per le ricadute dei maggiori rendimenti dei titoli di Stato sui costi di finanziamento delle aziende e dei mutui. Tutti fattori che potrebbero far rallentare l’economia.


Matteo Ramenghi – Chief Investment Officer – UBS WM Italia