UBI Pramerica SGR: economia turca sotto pressione ma non prevediamo un effetto contagio

Team Investimenti - UBI Pramerica SGR -

La Lira turca, insieme agli altri asset finanziari turchi, è sotto forte pressione a causa della crisi internazionale scoppiata con gli Stati Uniti che ha portato alle simboliche sanzioni unilaterali da parte del governo americano all’inizio di agosto, a seguito del caso Brunson e della volontà turca di comprare hardware militari dalla Russia.

Ciò si inserisce in un quadro di deterioramento delle condizioni economiche e finanziarie, riflesse nel deficit di partite correnti e nell’elevato indebitamento in valuta estera, di basse riserve valutarie e in un contesto in cui la politica monetaria ha perso credibilità nel contenere l’inflazione, a seguito di un percepita minore indipendenza della Banca centrale.

Al momento, le indicazioni delle autorità turche sono per una maggiore restrizione della politica fiscale per contenere l’aumento dell’inflazione, senza dare un’indicazione chiara di aumento dei tassi di riferimento della politica monetaria, necessario per stabilizzare il cambio.

Le basse riserve di valuta straniera sono fonte di problematicità in quanto riducono la capacità di rimborso e rifinanziamento del debito a breve delle imprese, ponendo così il rischio di un aumento dei tassi di default, in un contesto in cui la qualità dei prestiti è già peggiorata sensibilmente. Questo porterebbe a un minor flusso di capitali alle imprese.

L’impatto della svalutazione inoltre si rifletterà sulla qualità degli asset bancari (su cui pesa il rischio di aumento di default corporate). Al momento gli asset in valuta estera sono fra il 30 e il 50% del totale del bilancio delle banche turche, che risentono significativamente della massiccia svalutazione con il rischio di vedere un peggioramento dei ratio di capitale.

Svalutazione e restringimento delle condizioni finanziarie pongono quindi il rischio di un sensibile rallenta-mento dell’economia. Come agirà la politica fiscale? La necessità di maggiore disciplina fiscale si rivela necessaria per aiutare a contenere l’inflazione, per gestire il problema dei deficit fiscali e delle partite correnti e per avere le risorse a supporto del settore bancario e corporate in caso di necessità. In generale è plausibile attendersi un deterioramento del profilo del debito, sia per l’impatto del cambio sia per la diminuzione della crescita (questo senza considerare un eventuale peggioramento dello scenario).

Qual è l’impatto sull’economia europea?

Basso attraverso il canale del commercio e della crescita. Le esportazioni verso la Turchia (dati al 2017) sono il 3% del totale, equivalenti allo 0,6% del PIL – difficilmente un grande fattore di rischio per la crescita europea. Se si considerasse anche lo scambio all’interno dell’Area Euro (prodotti assemblati in Turchia e riesportati nell’ Area Euro), scenderebbe addirittura a 1,6%.
La caduta del PIL in Turchia durante la crisi del 2001 non causò variazioni significative sull’Area Euro. L’elemento che potrebbe incidere sulla crescita attesa per l’Area Euro sono la domanda interna e la fiducia, che potrebbero diventare più vulnerabili in un contesto di aumento di tensioni commerciali e geopolitiche.

Limitato attraverso il settore finanziario. Il settore maggiormente esposto alla Turchia è quello bancario. I dati BIS mostrano che l’esposizione delle banche straniere alla Turchia è pari a $265 Md alla fine del 1Q18, con la Spagna ($82 Md) e la Francia ($38 Md) maggiormente esposte. La posizione di una banca di livello internazionale in caso di difficoltà di un Paese (come nel caso di Unicredit in Ucraina nel 2008/2010) non permette, però, di svincolarsi velocemente, limitandosi alla perdita del capitale. Tuttavia, pure nel peggiore dei casi, alcune stime mostrano che le perdite per queste cinque banche non dovrebbero superare il 12% dell’esposizione.
Per quanto riguarda l’impatto sulla solidità del sistema bancario di Eurozona, la qualità dei bilanci dopo la crisi finanziaria del 2009 è migliorata notevolmente; inoltre, negli ultimi anni la Banca centrale europea si è dotata degli strumenti necessari per affrontare eventuali crisi. Al momento, la probabilità di contagio attraverso il canale bancario rimane, pertanto, limitata.
Immigrazione. Da marzo 2016, la Turchia è un Paese importante nell’aiutare l’UE a gestire il flusso di migranti proveniente dalla Siria. L’accordo, che prevede un aiuto economico per la Turchia, al momento non appare messo in discussione, tuttavia non è chiaro se motivazioni finanziarie (legate alle banche europee) ed eventuali rischi geopolitici possano metterlo in discussione.

Effetto contagio su altri Paesi Emergenti?

Le svalutazioni dall’inizio dell’anno sono state importanti non solo per la Turchia, ma anche per Argentina, Brasile, Russia e Sud Africa. Tuttavia, occorre evidenziare le differenze fra la Turchia e gli altri Paesi Emergenti:

  • La Turchia ha il maggior indebitamento delle imprese private, inoltre in valuta estera, con un trend in aumento significativo nel 2017
  • Ha anche una posizione di deficit di partite correnti in peggioramento dalla metà del 2000 rispetto agli altri Paesi Emergenti. In caso di uno stop dei flussi di capitali, il settore privato ne risulterebbe molto penalizzato.

Il rischio per i mercati emergenti potrebbe essere di un contagio finanziario, nel caso in cui la svalutazione della Lira turca portasse a una diminuzione significativa della crescita insieme a un aumento dei tassi di default corporate. Inoltre, eventuali minacce di sanzioni su altri Paesi porterebbero gli investitori a essere ancora più ritrosi a investire nei Paesi Emergenti. Una situazione di incertezza che potrebbe perdurare fino a che non vi sia maggiore chiarezza sull’evoluzione delle dinamiche economiche e politiche in Turchia. Al momento si ritiene che la svalutazione degli asset turchi fonte di volatilità e che solo in presenza di un peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti si potrebbe verificare un deterioramento maggiore del valore degli asset nei Paesi Emergenti in generale.

Quali le possibili evoluzioni?

Il raggiungimento di un accordo fra Stati Uniti e Turchia ridurrebbe la probabilità di ulteriori sanzioni e aprirebbe la porta a una stabilizzazione macroeconomica condotta grazie a un restringimento monetario per contenere un ulteriore deterioramento delle aspettative di inflazione e mantenere sotto controllo la stabilità finanziaria. Nel medio termine, sarebbe necessario un consolidamento fiscale per riequilibrare l’economia, insieme a qualche sorta di finanziamento esterno per supportare i requisiti esterni di capitale (soprattutto delle banche). In assenza di intervento delle istituzioni internazionali (FMI) rimane probabile la richiesta di finanziamenti bilaterali (Qatar, Russia, Cina). Senza un accordo totale o parziale fra Turchia e USA, rimarrebbe il rischio di ulteriore pressione sugli asset turchi e una maggior probabilità di soluzioni estreme (ad esempio, il controllo sui capitali) con le banche che potrebbero cercare di accedere alle loro riserve di FX presso la Banca centrale, minando la stabilità del bilancio nazionale. In tale caso, l’effetto contagio su altri Paesi Emergenti risulterebbe possibile con, di conseguenza, un continuo rafforzamento del Dollaro.

La Turchia, Paese importatore netto di energia, entra in una fase di grande tensione proprio all’indomani dell’annuncio della Commissione europea di un aumento delle importazioni di gas (LNG) dagli Stati Uniti (a scapito di quelle dalla Russia). La Turchia da anni sta investendo su progetti di natura energetica per migliorare il suo squilibrio commerciale, ma molti sono i ritardi di realizzazione. Tali progetti pesano molto sui bilanci delle banche locali che li finanziano. Forse la guerra dei dazi e la tensione in Turchia trovano una radice anche nella ricerca della leadership per la politica energetica nel futuro.


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