Euforia sui mercati? Meglio essere cauti

Olivier De Berranger -

Le dichiarazioni chiaramente più accomodanti rilasciate dal presidente della Fed all’inizio del mese hanno permesso ai mercati azionari di chiudere la scorsa settimana in territorio ampiamente positivo.

Jerome Powell ha del resto ribadito il suo pensiero nel corso di un dibattito all’Economic Club di Washington: dopo l’annunciata disponibilità della Fed a modificare la sua politica di riduzione del bilancio ha spiegato che la banca centrale potrebbe dimostrarsi «flessibile» e soprattutto «paziente» in riferimento alla normalizzazione della sua politica monetaria sulla base dei dati economici. In altri termini, ha lasciato intendere che il numero di rialzi dei tassi nel 2019 potrebbe rivelarsi inferiore alle recenti previsioni dei membri del FOMC.

Tuttavia, l’andamento positivo dei mercati non è stato sostenuto dalla sola politica monetaria. Mentre gli esponenti di entrambe le parti si incontravano a Pechino, la speranza di un prossimo accordo commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti generava nuovo appetito per il rischio. Nonostante però i tweet positivi di Donald Trump e l’ottimismo dei diplomatici americani, che affermavano per il tramite del sottosegretario al Commercio Ted McKinney che le trattative «erano andate bene», manteniamo una certa cautela.

In effetti, gli Stati Uniti si sono accontentati di inviare dei negoziatori di secondo ordine a Pechino visto che Robert Lighthizer, rappresentante al Commercio, non ha preso parte all’incontro. Al contrario, le autorità cinesi sembrano aver voluto attribuire maggiore importanza a questo appuntamento con la partecipazione del vice premier, Liu He. Ad ogni modo appare chiaro che si tratta di una prima fase negoziale.

Del resto, le prime trattative sembrano aver avuto ad oggetto gli acquisti soltanto per “un importo sostanziale” da parte della Cina, di beni e servizi americani nel settore agricolo, tra l’altro. Ora, se ne era già parlato al momento dell’incontro tra Xi Jinping e Donald Trump durante il G20. Non ci sono quindi grandi novità. Ma, soprattutto, siamo distanti dal punto sul quale gli Stati Uniti cercano di portare a casa qualche progresso, vale a dire quello dei «cambiamenti strutturali necessari» in ambito di protezione della proprietà intellettuale in Cina, di cyber-intrusioni e di tariffe doganali. Su questo tema cruciale della lotta per la leadership mondiale non si ravvedono per ora indizi che facciano pensare a eventuali passi avanti. Tanto più che confrontata con un rallentamento della sua economia la Cina potrebbe implementare delle misure di sostegno atte a favorire le aziende cinesi, statali in particolare, non allineandosi quindi per niente su quanto auspicato dagli Stati Uniti. Se alla fine, nonostante tutto il contesto sarà più favorevole alle trattative che alle dichiarazioni ad effetto, è troppo presto per cantare vittoria sul fronte della “guerra commerciale”.

Di fronte a un inizio un po’ euforico del nuovo anno sui mercati azionari è meglio rimanere prudenti tenendo conto dei primi risultati aziendali che saranno pubblicati negli Stati Uniti alla fine di questa settimana. Se la flessione dei prezzi (la componente “P” del famoso ratio PE) ha riportato le valorizzazioni su livelli più ragionevoli, le delusioni riferite ai risultati aziendali (che comporterebbero una riduzione della “E” dello stesso) le porterebbero meccanicamente a crescere e toglierebbero agli investitori la giustificazione della valorizzazione per spiegare un ritrovato interesse per le azioni. Dopo il warning sui risultati di APPLE e a fronte di previsioni di crescita degli utili negli Stati Uniti riviste al ribasso per il 2019, il rischio di sorprese negative sembra essere maggiore. Ancora una volta quindi: prudenza!


Olivier De Berranger – Chief Investment Officer – La Financière de l’Echiquier