Brexit: Theresa May ha perso il controllo

Simon Ward -

Dopo la seconda pesante sconfitta incassata dalla sua proposta di accordo di uscita dall’Unione Europea (UE), il Primo Ministro May ha perso il controllo del processo dei negoziati sulla Brexit. Ciò ha aumentato il rischio di un “no deal”, nonostante il Parlamento sembri opporsi a questa opzione.

In particolare, sono tre le vie alternative che è possibile percorrere per evitare una Brexit senza accordo. La prima presuppone che i Conservatori dell’European Research Group (ERG) e del Partito unionista democratico dell’Iralnda del Nord (DUP) abbandonino la loro opposizione all’accordo presentato dalla May. Ma, con ogni probabilità, non lo faranno. Gli integralisti dell’ERG non vogliono un accordo. I più irriducibili tra di loro si sono battuti per una completa rottura con l’UE per 30 anni e non hanno mai voluto trovare un compromesso con la leadership del partito. Preferirebbero che la Brexit andasse a rotoli e si piangesse “un tradimento” piuttosto che accettare quello che considerano un risultato “annacquato”.

La seconda alternativa prevede che una maggioranza della Camera dei Comuni si riunisca attorno ad un nuovo accordo che ipotizzi una Brexit per così dire più “soft”, sulla base del quale il Regno Unito rimarrebbe nell’unione doganale e nel mercato unico. Una simile iniziativa, tuttavia, richiederebbe un governo che la porti avanti. Un’amministrazione a guida conservativa, nel tentativo di farlo, dividerebbe irrimediabilmente il partito e perderebbe la propria maggioranza. Non è nemmeno chiaro se esista o meno una maggioranza tra i membri della Camera dei Comuni per una Brexit soft- i deputati che rappresentano le altre circoscrizioni potrebbero trovarsi nell’impossibilità di sostenere un accordo che consenta un’immigrazione illimitata nell’UE, una delle questioni chiave nella campagna referendaria.

La terza possibilità presuppone una proroga dell’art. 50 per dare il tempo necessario alla stesura di un nuovo accordo che potrebbe portare ad un altro referendum, con diverse opzioni di voto. Molti deputati, probabilmente, finirebbero per opporsi anche a questa eventualità, considerandola come un mancato riconoscimento del risultato raggiunto con il primo referendum. Cosa ancora più importante, l’Unione europea potrebbe non aderire. Una proroga permetterebbe al Regno Unito di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo di maggio, cosa che si tradurrebbe in una possibile partecipazione di fastidiosi eurodeputati britannici appartenenti a un nuovo “partito Brexit”. Inoltre, consentirebbe al Regno Unito di avere più tempo per prepararsi a un’uscita senza problemi, riducendo così il potere d’influenza dell’UE nei futuri negoziati commerciali. A tutto questo si aggiunge il fatto che molte imprese europee hanno già predisposto piani di emergenza per il “no deal” e potrebbero preferire che avvenga quest’anno piuttosto che affrontare un altro periodo di debilitante incertezza.

Un altro scenario possibile è che il Regno Unito chieda e ottenga una proroga dell’art. 50 fino a giugno, evitando così la partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo. Londra potrebbe utilizzare questo tempo per esercitare pressioni sull’ERG/DUP affinché aderisca al suo accordo, anche se non ha avuto successo finora. Proseguono i preparativi per una Brexit senza accordo da entrambe le parti, con una crescente consapevolezza – sia politica che pubblica – che un tale risultato sia effettivamente probabile.


Simon Ward – Economic Adviser – Janus Henderson Investors