Fuga dalla Cina? Le contromisure di aziende e mercati

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Aumenta il numero di società straniere che decidono di chiudere i propri impianti in Cina, come Tesla. Anche se i festeggiamenti per il Capodanno cinese si concluderanno ufficialmente alla fine della prossima settimana, è improbabile che la vita possa tornare al suo normale corso in tempi. brevi. Se la crisi si dovesse prolungare ulteriormente, è ormai certo che in molti prenderanno seriamente in considerazione l’idea di trasferire la produzione al di fuori della Cina: anche Fiat Chrysler ha annunciato che potrebbe spostare gli impianti in Europa per scongiurare problemi di approvvigionamento delle forniture. Per quanto non vi siano certezze sulle reali mosse future, è chiaro che azioni di questo tipo che dovessero essere intraprese dalle società avrebbero sicuramente un impatto sui prezzi mondiali che inciderebbero notevolmente sui profitti futuri. Ed è questa la ragione che spinge gli investitori a vendere oggi sul mercato, per quanto questo sell-off sia molto più contenuto se paragonato al panico che si è generato nelle ultime due settimane. Pechino dal canto suo sta cercando di riassicurare i mercati che l’impatto economico del coronavirus sarà solo temporaneo, senza però entrare in ulteriori dettagli.

I prezzi del petrolio WTI dovrebbero rimanere ancora sotto pressione dato che la Russia ha di fatto bloccato la contromossa dell’OPEC adducendo il fatto che hanno bisogno di più tempo per valutare l’impatto dell’emergenza virus sul mercato. Qualora l’OPEC non riuscisse ad “aggiustare” la produzione in conseguenza di un calo stimato del 20% della domanda cinese, la soglia dei 50 dollari a barile potrebbe non reggere.

Sul fronte valutario, il dollaro USA ha messo a segno nuovi guadagni contro euro e sterlina. Il cambio sterlina-dollaro è sceso a 1.2920 sui timori che le negoziazioni con Brexit non saranno una passeggiata. L’eurodollaro ha perso terreno a seguito del dato molto inferiore al previsto sulla produzione industriale tedesca di dicembre e non si esclude un ulteriore calo verso 1.0900/1.0880.

L’attesa di oggi è tutta per il dato relativo ai Non Farm Payrolls americani, dopo che mercoledi il report ADP ha sorpreso significativamente con un numero migliore delle previsioni (291.000 contro gli attesi 157.000): la pubblicazione di oggi potrebbe mostrare che l’economia Usa è riuscita a creare 160.000 nuovi occupati nel mese di gennaio, più dei 145.000 di dicembre, benchè meno dei 170.000 nuovi posti creati in media negli ultimi dodici mesi. Leggendo in controluce, tuttavia, la realtà del mercato del lavoro americano racconta un’altra storia. Questo mese le società Usa hanno annunciato un numero record di licenziamenti pari a quello del febbraio dello scorso anno: a tagliare di più sono le società tecnologiche, la grande distribuzione e i produttori industriali. Bancarotte e difficoltà finanziarie sono già costati all’economia a stelle e strisce 50.000 posti al mese nel 2019. Oltre a ciò, rimane ancora da capire se i rapporti commerciali con la Cina miglioreranno, al netto delle conseguenze del rallentamento dell’attività in Cina per il coronavirus che sicuramente inciderà sul business della Corporate America, visto che il partner asiatico avrà ancora difficoltà a soddisfare la domanda di beni proveniente dagli Usa a causa dello shock produttivo in corso.  Di conseguenza, qualora anche ci fossero le migliori condizioni, l’accordo commerciale appena concluso potrebbe anche non entrare pienamente a regime, nonostante le dichiarazioni ottimistiche del Segretario al Tesoro Mnuchin.

Per concludere, un dato positivo sui Non Farm Payrolls potrebbe sostenere ulteriormente l’attuale rally del dollaro e i rendimenti Usa, mentre una delusione sul numero degli occupati  (sotto i 100.000) potrebbe determinare una correzione del biglietto verde.