L’espansione economica è destinata a terminare

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L’attuale shock che il mondo degli investimenti sta affrontando presenta tre caratteristiche uniche: è esogeno, sarà probabilmente temporaneo e il suo effetto sull’economia reale è estremamente incerto. Nonostante il significativo sell-off della maggior parte degli asset orientati alla crescita da metà febbraio, temiamo che ci siano ulteriori rischi al ribasso. L’economia globale è sulla buona strada per contrarsi in modo significativo in questo trimestre, abbastanza per porre fine agli oltre dieci anni di espansione seguiti alla grande crisi finanziaria. La violenta correzione del mercato non deve essere sottovalutata, ma la causa di fondo – una pandemia in accelerazione che richiede la chiusura di ampie parti del sistema economico – è ancora presente. Gli stimoli fiscali e monetari contribuiranno ad alleviare e ad attenuare gli effetti, ma non rappresentano una cura per le difficoltà che si prospettano per l’economia reale e i mercati

Stimare l’impatto della quarantena 

Per comprendere il probabile impatto economico, abbiamo utilizzato un modello per una pandemia influenzale sviluppato nella letteratura epidemiologica[1]. Osservando la scomposizione del Pil degli Stati Uniti e dell’Eurozona, basandoci su uno scenario che vede una riduzione dei consumi dovuti alla quarantena, possiamo stimare l’impatto delle attuali misure di distanziamento sociale su queste due grandi economie. Su base trimestrale, una quarantena di due mesi (come in Cina), che coinvolga il 90% della popolazione e causi un calo dei consumi del 70%, comporterebbe uno shock di crescita del -5% (trimestre su trimestre). Ciò porterebbe la crescita degli Stati Uniti al -2,9% nel 2020 e quella dell’Eurozona al -3,6% (anno su anno), con una normalizzazione della crescita nel secondo semestre. Quindi, secondo il nostro scenario di base, il 2020 dovrebbe vedere la prima recessione globale dopo la Grande Crisi Finanziaria. Questo scenario assume che la quarantena abbia un impatto limitato su servizi finanziari, assicurazioni, utilities, servizi sanitari e che il 20% del consumo energetico abituale non venga utilizzato. Se lo shock non si rivelasse temporaneo, gli investimenti diminuirebbero, portandoci verso uno scenario più severo e duraturo: il -5% stimato potrebbe spingersi fino al -8%, il più grande shock macroeconomico in un lasso di tempo così breve.

Il deterioramento dei dati macro è allarmante

Ha avuto inizio all’inizio di questo mese con la pubblicazione dell’indice manifatturiero PMI cinese, al di sotto delle nostre aspettative, raggiungendo il livello più basso degli ultimi quindici anni. Due settimane fa, il business outlook della Fed di Philadelphia è sceso a livelli registrati l’ultima volta nel 2011 e nel 2015, periodi di significativo rallentamento negli Stati Uniti. La scorsa settimana è iniziata con l’indagine della Commissione Europea sulla fiducia dei consumatori che ha raggiunto i minimi del 2011, il picco della crisi del debito sovrano dell’Eurozona. A metà settimana l’indice tedesco IFO sul clima economico ha toccato i livelli più bassi dal luglio 2009, al di sotto delle aspettative (più preoccupanti) del mercato. Giovedì gli Stati Uniti hanno fornito il dato delle richieste di sussidi di disoccupazione, pari a 3,3 milioni (dato destagionalizzato), una deviazione standard di 33 punti dalla media storica, ben oltre l’aspettativa del consensus (1,7 milioni). Questi dati macro non sono solo deludenti, ma anche allarmanti. Se da una parte ci aspettiamo ancora che il rallentamento sia temporaneo, il grado di deterioramento suggerisce che i rischi per l’economia sono fortemente orientati al ribasso, soprattutto perché gli Stati Uniti sono (relativamente) ancora in una fase iniziale di risposta al virus. Anche il nostro Growth Nowcaster è precipitato rapidamente sulla base di questi dati e ora segnala un alto rischio di recessione.

Bad news is good news, ma solo per un certo periodo di tempo

Queste cattive notizie (orribili potrebbe essere un termine più adatto) hanno richiesto un ulteriore sostegno fiscale e monetario globale, soprattutto negli Stati Uniti, dove è stato firmato un pacchetto di stimolo pari a 2 trilioni di dollari USA e la Fed ha chiarito di essere pronta a utilizzare il maggior numero possibile di leve a sua disposizione. Mettendo in relazione quanto detto con il sentiment molto negativo degli investitori, il posizionamento più netto e le opportunità di valutazione, gli asset orientati alla crescita sono cresciuti: l’indice MSCI All Country è salito del 10% in settimana, mentre l’indice Barclays US Corporate Bond di oltre il 5%. Tuttavia, a questo punto, il rally ci appare come tecnico e quindi di breve durata. Le condizioni macro non sono ancora favorevoli, nonostante la grande azione fiscale e monetaria, mentre l’incertezza dovuta al virus persiste. È interessante notare che, sebbene l’indice VIX sia sceso di quasi il 14% nel corso della settimana, rimane elevato comunque elevato a 65,5. Per contestualizzare, il VIX ha un beta storico di circa -3 rispetto all’S&P 500, il che implica un calo del 30% contro il rimbalzo del 10,3% dell’S&P 500 della scorsa settimana.

A nostro avviso, ciò riflette un contesto sfidante per gli asset rischiosi. E mentre uno dei tre fattori scatenanti che abbiamo individuato come necessari per rientrare nel mercato è stato centrato (sostegno della politica fiscale/monetaria), gli altri due (miglioramento delle condizioni sanitarie e pricing di una significativa recessione nei mercati) continuano a mancare. Questo ci spinge a rimanere difensivi, cercando solo le opportunità più interessanti che potrebbero beneficiare direttamente del sostegno fiscale e monetario (ad esempio, il credito investment grade USA grazie al programma di acquisto di obbligazioni societarie della Fed). Infine, monitoriamo attentamente la liquidità sui mercati finanziari, poiché una sua contrazione potrebbe innescare un’altra grave flessione dei mercati.