C’è il rischio di una crisi di fiducia sul debito

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Una crisi di fiducia sul debito di alcuni paesi e una svalutazione generalizzata delle valute potrebbe destabilizzare tutto il sistema. Nelle ultime settimane, abbiamo assistito alla stranezza di un dollaro che si è deprezzato nonostante tassi che sono saliti: un comportamento tipico da mercato emergente, ma inatteso per quella che è l’indiscussa valuta di riserva globale. Ciò preoccupa tanto quanto la totale artificialità delle quotazioni del Btp, ormai sottratte al normale processo di determinazione dei prezzi del mercato grazie agli acquisti illimitati della Bce.

I mercati stanno guardando un altro film rispetto alla realtà. La maggior parte delle valutazioni mondiali, in particolare quelle americane, sono ai massimi storici di ogni tempo, escludendo il 2000, e sono poco sostenibili anche facendo finta di essere già nel 2022. L’euforia è massima e sono evidenti alcune sacche di speculazione spinte soprattutto dagli investitori retail. A fronte di elementi positivi che il mercato sta in parte già scontando, non è difficile immaginare alcuni rischi che potrebbero materializzarsi.

La pandemia potrebbe non essere finita. I contagi e i morti non accennano a diminuire, cure efficaci non ce ne sono, una terza ondata mentre la seconda non è ancora finita avrebbe conseguenze micidiali, esiste la forte incognita delle numerose varianti del virus e il piano vaccinale non sarà veloce come sperato. La crescita economica e degli utili potrebbe intanto rivelarsi deludente a causa dei prolungati lockdown. I Pmi dei servizi restano molto deboli e la forza di quelli manifatturieri potrebbe essere solo un indicatore ritardato. Gli interventi statali hanno mascherato la severità degli effetti economici della pandemia, soprattutto in Europa, per cui c’è il rischio che i veri effetti si vedranno solo nel tempo e paradossalmente proprio quando l’epidemia sarà finita. Multipli alti con aspettative di utili già aggressive (+25/40%) necessitano di ulteriori sorprese positive per essere confermate ed esiste poco spazio a riguardo. Gli interventi fiscali strutturali di lungo termine dovranno tramutarsi in realtà, in particolare negli Usa, ma è possibile che mercato ne stia già scontando gli effetti positivi sull’economia.

Se poi anche il mercato avesse ragione, tutto tornasse velocemente a funzionare e l’economia ripartisse già dal secondo trimestre del 2021, le prospettive sarebbero comunque grigie. Sperare nella fine della pandemia, in un’economia che rimbalza, il consumo che esplode, i lavori pubblici infrastrutturali che finalmente cominciano senza che questo abbia effetti sui tassi di interesse, sull’inflazione e sulle valute è pura fantasia. Una crisi di fiducia sul debito di alcuni paesi e una svalutazione delle loro monete avrebbe conseguenze negative su tutto il sistema. Una presa di beneficio dopo l’eccesso speculativo su alcuni segmenti potrebbe infine contagiare l’intero mercato, in assenza di appigli a cui aggrapparsi.

Il mercato sta dando quasi tutto per risolto ed è incapace di guardare ai diversi rischi all’orizzonte, ma solo alle opportunità. Aspettarsi un bear market nel 2021 è obiettivamente esagerato ma una correzione significativa non è affatto una possibilità remota. Fare previsioni in termini percentuali è impossibile, tuttavia i nostri portafogli sono posizionati per fronteggiare un possibile drawdown tra il -10 e il -20% entro primo semestre 2021. Consigliamo, quindi, uno stile di investimento presente ma prudente, attivo ma critico, convinto ma diversificato. Non si può prescindere da mercati emergenti, temi secolari, real asset.