Azionario, i tassi di interesse statunitensi al centro della scena

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Poco più di un anno fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente l’epidemia di coronavirus una pandemia. Difficile credere che sia passato un anno dall’inizio del primo lockdown. Le montagne russe che ne sono seguite e le misure prese a livello globale sul fronte fiscale, monetario e sanitario, in un unico anno, sono state di proporzioni mai viste. Visibilmente, anche i mercati azionari hanno vissuto una corsa sfrenata, con discese e risalite legate anche ai monumentali piani fiscali e monetari messi in atto, oltre al tanto atteso annuncio della disponibilità di vaccini.

Mentre la maggior parte dei blocchi economici regionali sono stati riluttanti a implementare ulteriori misure fiscali, il governo statunitense appena insediato ha promulgato due ulteriori vasti piani fiscali e ha una grande legge sulle infrastrutture ancora in cantiere. Questa generosità fiscale, unita al probabile “sblocco” dei risparmi personali accumulatisi durante il lockdown e a un programma vaccinale efficiente negli USA (a differenza dell’UE), ha dato impulso ai tassi decennali statunitensi con una notevole accelerazione da metà febbraio. I tassi nominali decennali sono raddoppiati dall’inizio di questa terza fase, oltrepassando i livelli pre-COVID dell’1,5%, superando il rendimento medio dei dividendi dell’indice S&P500.

L’aumento dei tassi nominali può essere scomposto in due fasi: una prima reflazionistica (caratterizzata da una graduale ascesa dei break even) e una seconda dove gli investitori si aspettano un sistema economico americano maggiormente sotto pressione. Quest’ultima fase, caratterizzata da un’impennata dei tassi reali, riflette le migliori prospettive di crescita, ma è anche (potenzialmente) indicativa di un crescente disagio tra gli operatori di mercato circa la capacità degli organi fiscali e monetari di continuare a lavorare in tandem.

Per ora, i mercati azionari si sono scrollati di dosso lo sconvolgimento dei tassi, dato che le condizioni finanziarie non si sono irrigidite; le pressioni inflazionistiche rimangono contenute e i tassi reali rimangono comodamente in territorio negativo. Inoltre, le aziende su entrambi i lati dell’Atlantico hanno riportato impressionanti guadagni nel quarto trimestre 2020. Per il momento, la crescita stellare e le prospettive di guadagno annullano il vento contrario di un tasso di sconto più alto sui multipli. Tuttavia, sotto la superficie, il riposizionamento del mercato è stato frenetico e purtroppo questo è stato un fattore sintomatico e ripetitivo nell’ultimo anno. Gli attori principali dei mercati azionari sembrano costretti a investire con uno stile growth o value, hanno orizzonti d’investimento che apparentemente non vanno oltre i 6 mesi e sono legati alle azioni e alle dichiarazioni dei banchieri centrali. Tutto questo favorisce un comportamento erratico e volatile del mercato azionario.

I giorni di volatilità contenuta sono finiti da un pezzo e quindi dovremmo abituarci a livelli di volatilità strutturalmente più alti. Perciò dobbiamo iniziare a considerare premi al rischio maggiori. La forte resilienza del mercato azionario che abbiamo osservato finora potrebbe essere messa a dura prova in caso di ulteriori turbolenze del mercato obbligazionario. Anche se siamo avversi a una categorizzazione delle società in termini di stile, la sovraperformance delle attività di stile value nelle ultime due settimane è degna di nota e in qualche modo esemplificativa delle aspettative sui tassi a lungo termine.

Certo, una qualche rotazione tra i due stili, growth o value, era prevista ma non siamo particolarmente favorevoli a concentrarci eccessivamente sui driver macro come i tassi d’interesse o l’inflazione per investire con convinzione in tendenze strutturalmente in crescita e per costruire portafogli robusti.

Anche se i tassi d’interesse possono essere un driver top-down determinante della traiettoria futura di un particolare (sotto)settore, bisogna prendere in considerazione altri elementi che possono far scomparire le dinamiche dei tassi d’interesse. Spesso, le forze dirompenti sono sottovalutate. Ciò che conta nel lungo periodo è l’effettiva capacità di un’azienda o di un sottosettore di comporre e creare valore per gli azionisti, non l’opinione volubile degli investitori sulle prospettive nel breve periodo. Inoltre, la longevità della creazione di valore è spesso sottovalutata e quindi una fonte di inefficienza del mercato.

Al fine di orientare i portafogli in diverse circostanze di mercato, e consapevoli dei movimenti selvaggi passati dei mercati azionari, prendiamo in considerazione elementi come la liquidità, la sensibilità all’inflazione o ai tassi d’interesse a livello di portafoglio, in quanto possono aumentarne la solidità. Un approccio bilanciato nei confronti di società caratterizzate da una “crescita solida a un prezzo ragionevole” e da “modelli di business economici ma non disfunzionali” è fondamentale nel processo di costruzione del portafoglio, in ogni momento.