L’impatto della pandemia sul mondo dell’arte
Nell’ultimo anno, la maggior parte delle istituzioni culturali hanno dovuto fare i conti con un terremoto che spesso non ha trovato pronto nessuno. In questi mesi, ci siamo accorti che il rapporto fisico con l’arte non è l’unico, ma certamente il più importante.
Il mondo dell’arte è stato uno di quelli più colpiti ma anche che ha meglio reagito, mettendo in moto una grande macchina della solidarietà, organizzando aste benefiche online ed iniziative a supporto dell’emergenza. Questo periodo ci ha insegnato che, per quanto le mostre online possano essere organizzate in modo interessante, il digitale, da un punto di vista di contenuti, può essere il contorno ma non il piatto principale dell’arte.
A seguito della pandemia:
- Gli ingressi ai musei sono calati del 77%.
- I visitatori dei primi 100 musei europei nel 2020 sono stati 24 milioni, rispetto agli 83 milioni del 2019.
- I Musei Vaticani hanno perso l’81% di visitatori, gli Uffizi il 72%.
- Le istituzioni senza una collezione permanente che si occupano di mostre temporanee hanno subito un danno inferiore (e.g. Palazzo Reale ha perso il 48% dei visitatori, nonostante i 193 giorni di chiusura).
- La Cina ha raggiunto una quota di mercato del 36% nelle aste pubbliche, rispetto al 29% degli USA ed al 16% del Regno Unito.
- Nel 2020 la percentuale globale di nuovi miliardari è cresciuta del +7%, mentre con la crisi del 2009 i miliardari erano diminuiti del 30%.
I musei hanno continuato la propria attività in digitale ma sono anche arrivati a vendere opere delle proprie collezioni per rimpolpare i fondi per le acquisizioni o per andare avanti. Con la spinta delle aste online, la grande Cina (i.e. regione che comprende la Cina continentale, Hong Kong e Taiwan) è diventata il mercato più vasto nelle aste, superando USA e UK. L’asse delle aste si è spostato quindi in Oriente ed il settore delle aste digitali è diventato per la prima volta una porzione significativa del mercato, raddoppiando il suo valore rispetto all’anno precedente.
Forse è stato proprio grazie all’online, che nel 2020 non vi è stato un tracollo disastroso quanto nel 2009. Ciò però ha una causa specifica: quest’anno c’è stata una percentuale in crescita del 7% di miliardari mentre nella crisi del 2009 sono calati del 30%. E’ questo tipo di polarizzazione che tende a sostenere il mercato.
Grazie all’online, le case d’asta hanno potuto continuare la propria attività, organizzando aste esclusivamente virtuali, in formato ibrido e trattative private dette anche “private sales”. Nel caso delle gallerie invece, il danno subito è stato significativamente maggiore. Esse traggono fino al 50 % del proprio fatturato dalle fiere e nell’ultimo anno queste non si sono svolte oppure si sono tenute esclusivamente in formato virtuale. Di conseguenza, le case d’asta sono riuscite a dominare il loro principale competitor: le gallerie. La forza che le case d’asta hanno nello sviluppo digitale a livello internazionale rischia di compromettere completamente la ricerca artistica svolta dalle gallerie, che a lungo andare salvaguarda l’intero mercato.
Le aste infatti, non sono un luogo di ricerca. Inoltre, le gallerie in Italia devono far fronte a maggiori problemi strutturali rispetto alle aste, come ad esempio nel caso del doppio pagamento dei diritti di seguito quando svolgono il ruolo di intermediarie. Senza un intervento strutturale della politica, ad esempio di natura fiscale, il rischio è che queste aperture digitali cannibalizzino la ricerca artistica alla base del sistema dell’arte svolta da gallerie e musei. Ciò comporterebbe un ritorno, specialmente nel sistema del contemporaneo, ad un mondo dell’arte chiuso, polarizzato ed esclusivo, com’è stato fino al 2009, che lascia poco spazio alla ricerca.