Il “premio Covid” mette a rischio l’azionario

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In un contesto caratterizzato dall’aumento dell’inflazione e dal rialzo dei tassi di interesse, le azioni restano la soluzione di investimento più interessante. Tuttavia, in molti segmenti del mercato azionario, a partire dal Nasdaq, ravvisiamo un significativo potenziale di rischio latente.

Sul mercato dei capitali, il nuovo anno è iniziato all’insegna di flessioni talvolta drastiche, sia sul fronte azionario sia su quello obbligazionario. Se in termini economici gran parte delle società continua a evidenziare un ottimo andamento, l’inflazione persistentemente alta, soprattutto negli Stati Uniti, sta mettendo sotto pressione la Federal Reserve, inducendola ad aumentare rapidamente i tassi di riferimento e se fino a settembre 2021 le stime di consenso indicavano che il primo intervento sui tassi non sarebbe avvenuto prima del 2023, oggi il mercato sconta già ben cinque rialzi nel solo 2022.

Dal punto di vista dei mercati azionari, gli sviluppi sul fronte dei tassi e in particolare dei rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza sono importanti, in quanto hanno un impatto diretto sulle quotazioni di tutte le asset class. “Le valutazioni assolute delle azioni sono tutt’altro che convenienti in termini storici”, spiega Schmitt, “e le occasioni degne di nota sono pressoché inesistenti. Inoltre, la vera attrattiva delle azioni deriva dalle allettanti valutazioni relative, ossia dal confronto con altre alternative d’investimento. Qualsiasi scostamento potenzialmente duraturo dall’attuale contesto di tassi bassi mette quindi alla prova i livelli di valutazione prevalenti e può generare forti oscillazioni di prezzo”.

Già un anno fa abbiamo notato eccessi in singoli segmenti di mercato, come quello del “non-profitable tech”, aziende tecnologiche giovani, dirompenti, spesso ad alto contenuto tecnologico, che presentano un potenziale di mercato significativo ma che non sono ancora remunerative e, nei casi più estremi, non generano alcun reddito. I prezzi azionari di molte di queste aziende hanno raggiunto i massimi nella primavera del 2021 e da allora hanno subito un brusco calo. Nonostante le perdite, molti di questi titoli presentano tutt’ora quotazioni elevate, eppure, se si prendono come riferimento gli afflussi degli Etf e dei fondi azionari corrispondenti, a differenza di quanto osservato in passato in situazioni analoghe, oggi quasi nessun investitore ha reagito alle pesanti perdite finora subite con vendite indiscriminate. Alla luce di ciò, in questo segmento di mercato continuiamo a ravvisare un potenziale di rischio latente e situazioni analoghe stanno emergendo anche in altre aree del mercato.

“Molti di questi titoli si trovano all’interno del Nasdaq, dove molte aziende godono di un sostanzioso “premio Covid”, con valutazioni superiori o molto superiori al loro intervallo di valutazione pre-Covid, con un peso sproporzionato all’interno dei portafogli e degli indici”, prosegue Schmitt. “Si va dalle mega cap come Alphabet alle large cap come la tedesca SAP e alle mid cap statunitensi come Dynatrace o Paycom Software. Ma anche in altri settori si trovano società che vengono scambiate al di sopra delle loro medie storiche, come per esempio la farmaceutica svizzera Roche e gli asset manager statunitensi BlackRock e Charles Schwab. L’investimento in ciascuno di questi titoli può avere senso in una logica di investimento bottom-up, ma occorre non si possono ignorare i rischi top-down associati nell’attuale contesto di mercato. Per questo motivo, nel fondo Ethna-DYNAMISCH abbiamo ridotto significativamente le posizioni su questa tipologia di titoli, ma non li abbiamo liquidati completamente”.