L’ultima chance: occasione Italia!

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L’Europa vive all’ombra di Stati Uniti e Cina ormai da tempo: la crescita langue, la disoccupazione è più alta che al di là dell’Atlantico e, se guardiamo agli investimenti, nessuna società europea compare tra le prime dieci al mondo. Quale motivo potrebbe mai avere un investitore straniero a investire in Europa? All’interno dell’Europa, poi, l’Italia è tra i paesi che hanno sempre faticato negli ultimi 20 anni a tenere il passo perfino di un continente a rilento.

Con il lancio del Next Generation EU, l’Europa ha escogitato quel forte diversivo necessario a aumentare la crescita, creare nuovi posti di lavoro e tornare protagonista tra le potenze mondiali. Non a caso, nel suo proclama della trasformazione verde, l’Europa sta dettando le linee guida di comportamento. Un esempio è la Tassonomia europea, definita da Ursula von der Leyen il primo vademecum mondiale che definisce cosa è verde e cosa non lo è.

In questo rilancio, l’Italia avrà un ruolo fondamentale, visto che è la maggior beneficiaria del pacchetto del programma di rilancio europeo, con una dotazione di ben 191 miliardi da qui al 2026. E proprio pochi giorni fa un tweet di Ursula von der Leyen annunciava che il primo assegno per l’Italia di Next Generation EU è stato staccato, complimentandosi per le riforme fatte finora. Sì, perché questo è il primo finanziamento soggetto alla valutazione del raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2021, che va a aggiungersi al prefinanziamento iniziale di 25 miliardi della scorsa estate. Si tratta anche di uno dei primi assegni a livello europeo, dopo quelli alla Spagna (dicembre), Francia (marzo) e Grecia (aprile).

Un assegno cospicuo, ben 21 miliardi, che porta il totale finora ottenuto a 46 miliardi di euro da destinare alle sei missioni. Se nel 2021 sono stati fatti investimenti per 12 miliardi, nel 2022 la cifra prevista è più del doppio, sopra i 27 miliardi.

Quasi un terzo di questo importo, poco meno di nove miliardi di euro, è destinato alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, del servizio sanitario nazionale e delle imprese, alla fibra (Piano Italia 1Gbps) e al 5G.

Quasi quattro miliardi di euro per l’efficienza energetica dei comuni, delle scuole e per il rafforzamento dell’ecobonus del 110% residenziale, mentre un miliardo e mezzo per l’energia rinnovabile, l’idrogeno e la mobilità sostenibile. In realtà per lo sviluppo di eolico e fotovoltaico l’investimento è di appena 60 milioni, ma parliamo di tecnologie  che già riescono a automantenersi e che quindi hanno bisogno di minori investimenti. L’agrivoltaico, più recente, riceverà invece 108 milioni. Tre saranno i miliardi destinati alla rete ferroviaria a alta velocità e sei miliardi quelli all’istruzione e alla ricerca (qui i dettagli: https://lab24.ilsole24ore.com/pnrr/pnrr-progetti-2022.php).

I due terzi circa dei finanziamenti totali saranno concessi sotto forma di prestiti e circa un terzo come sovvenzioni a fondo perduto. Solo l’Italia e pochi altri (Grecia, Romania, Polonia e Portogallo) hanno chiesto prestiti, data la convenienza economica nell’avere fondi a un tasso inferiore a quello del proprio debito. La possibilità di richiedere prestiti fino al 6.8% del Reddito Nazionale Lordo  fa dell’Italia, che ha attinto al massimo disponibile, la nazione con più fondi a disposizione: come detto, ben 191 miliardi di euro, cifra che dà una chiara idea della scala colossale di riforme e investimenti necessari.

Se ci si chiede quanto contribuiranno queste riforme a dare impulso all’economia, studi della UE indicano che, a seconda della rapidità di implementazione e del livello di produttività, si registrerà un incremento del PIL tra l’1.5% e il 2.5% nel 2026 in termini reali, con la creazione di circa 240 mila posti di lavoro. Non poco per un’economia cresciuta dell’1% annuo tra il 2015 e il 2019.
Si può immaginare che società legate a digitalizzazione e efficientamento energetico avranno molte richieste nel prossimo futuro, stando sempre attenti ai colli di bottiglia generati dalla difficoltà nell’ottenere approvvigionamenti di materiale e dal costo delle materie prime, in particolare dell’energia.

Il lungo viaggio che ci porterà a raggiungere lo scopo di tutto questo, ossia a essere il primo continente a emissioni nette zero entro il 2050, è iniziato. Forse ci si crede davvero o forse è un diversivo ideato ad hoc per promuovere una crescita anemica e ridurre una disoccupazione sempre troppo vicina alla doppia cifra. Magari sono vere entrambe le tesi. Certamente questa è un’ultima chance per l’Europa, e anche per l’Italia, di ottenere una certa fiducia da parte degli investitori.