Tensioni geopolitiche e repressione normativa tarpano le ali alle cripto. Ma c’è chi trova soluzioni

Research Team di 21Shares -

Dopo un inizio 2023 in rialzo per il mercato delle criptovalute, con Bitcoin ed Ethereum che hanno guadagnato rispettivamente il 40% e il 30%, negli ultimi giorni si è tornati a vedere una flessione, con i due principali player del settore che hanno ceduto tra il 6% e il 10% (dati aggiornati al 14 febbraio 2023). Il motivo di queste perdite va ricercato nel fatto che, nell’ultima settimana, si è verificata la più grande ondata di vendite di portafogli di lungo periodo esposti al BTC della storia, pari a 530 milioni di dollari, liquidati su Binance, OKX e Bybit. Questo dato dimostra che la ripresa di inizio anno aveva spinto un numero maggiore di investitori a crearsi posizioni lunghe su questa criptovaluta, ma poi le loro aspettative sono state disattese.

A questo punto viene da chiedersi: se la flessione è stata innescata da un’ondata di vendite che, a sua volta, è stata causata da una fiducia tradita negli investitori di lungo periodo, che cosa è stato a far cambiare idea a questi ultimi? Secondo le ricerche condotte dal team di ricerca di 21Shares, i fattori scatenanti sono stati sostanzialmente due: un peggioramento dello scenario geopolitico dovuto all’aumento della tensione tra Cina e Stati Uniti e la serie di repressioni normative che sono state attuate negli USA.

Per quanto riguarda le tensioni, l’episodio scatenante è ovviamente quello legato all’abbattimento del pallone aerostatico di proprietà del governo cinese che stava sorvolando l’Alaska e che ha dato il via a una serie di accuse reciproche con Pechino che ha dichiarato che anche loro sono soggetti ad attività di spionaggio, con la Casa Bianca che ha prontamente negato. Come abbiamo avuto modo di riscontrare con il conflitto tra Russia e Ucraina, la geopolitica gioca un ruolo molto importante nel mercato degli asset digitali.

Per quanto riguarda la repressione normativa, invece, si fa riferimento alla “Wells notice” che annuncia che la SEC citerà in giudizio Paxos, società attiva nello sviluppo dell’infrastruttura del mercato cripto, con l’accusa di aver quotato la terza più grande stablecoin al mondo – ovvero Binance USD (BUSD) – che è però un asset non registrato. Pertanto, a seguito di un’ordinanza del Dipartimento per i Servizi Finanziari di New York, la società ha comunicato che cesserà l’emissione di BUSD per rientrare nel rispetto delle leggi vigenti. Anche la risposta di Binance non ha tardato ad arrivare, con il CEO Changpeng Zao che ha fatto sapere che la sua compagnia sta esplorando nuove giurisdizioni e nuove stablecoin non ancorate al dollaro americano, in modo da tutelare i suoi utenti dagli effetti secondari di questi provvedimenti repressivi. Tutto questo è stato solo l’antipasto dello scontro che si è poi venuto a creare tra il governo statunitense e la stessa Binance, legato a un possibile caso di riciclaggio di denaro, dato che quest’ultima il mese scorso è stata indagata in quanto destinatario finale di un’operazione di riciclaggio del valore di 700 milioni di dollari.

Come è facile intuire, le ripercussioni di questa vicenda vanno oltre il contesto dei mercati digitali, con le società attive nel segmento delle stablecoin che ci penseranno due volte prima di scegliere gli Stati Uniti per la loro registrazione. Nonostante ciò, ci sembra opportuno segnalare che Polkadot ha annunciato di aver trovato una soluzione a questa problematica, andando a mitigare il rischio normativo che si corre quando si parla di asset non quotati. Questa soluzione prende il nome di “token morphism” e consiste in un processo che permette a Polkadot di trasformare il token nativo di un determinato protocollo da una security a un software. Alla luce delle recenti repressioni normative da parte della SEC, la società si è proposta di guidare uno studio di ricerca per produrre una guida pratica al token morphism che comporterà una spesa di 90mila dollari e che si intende finanziare tramite emissione di treasury.