Risparmiatori italiani e percezione della pensione
Un interessante studio condotto dai professori Michele Raitano e Marco Di Pietro dell’Università La Sapienza, sponsorizzata da Trade Republic, sulle criticità del sistema pensionistico pubblico e privato e gli spazi per i piani di accumulo in ETF contiene una specifica indagine campionaria condotta da BVA Doxa. La ricerca aveva l’obiettivo di verificare le attitudini di un campione rappresentativo della popolazione italiano rispetto alle tipologie di investimento finanziario, alle scelte di investimento nella previdenza integrativa e alle attese rispetto al futuro previdenziale.
Partendo dalla percezione della previdenza obbligatoria una quota minoritaria di intervistati (34,6%; degli intervistati si attende una pensione di livello dignitoso. Come atteso, la quota cresce fra chi ha un salario più alto, mentre, in modo forse inatteso, le aspettative di una pensione dignitosa sono minori per chi vive al Nord (e beneficia, sovente, di migliori prospettive contrattuali e salariali) e per i meno giovani. Interessante è che le aspettative pensionistiche si riducono fra chi dimostra di avere conoscenza delle regole di calcolo contributive.
Le scarse aspettative degli intervistati si confermano guardando al tipo di emozioni che vengono in mente quando si pensa al tenore di vita post pensionamento. Ben il 74,2% degli intervistati manifesta almeno un’emozione negativa (tristezza, preoccupazione, sconforto o incertezza). La quota di “pessimisti” è, inoltre, abbastanza omogenea fra gruppi della popolazione e si riduce sensibilmente – ma senza diventare minoritaria – solo fra chi ha una retribuzione superiore ai 2.000 euro mensili.
La quota di chi possiede almeno un prodotto a fini previdenziali (includendo, oltre ai fondi pensione, PIP e polizze vita) è maggioritaria (67,2%). Poco meno di 1/5 degli intervistati è iscritto a un fondo negoziale a cui versa anche il TFR, mentre la corrispondente quota relativa ai fondi aperti è del 13,1%. In totale, il 35,9% degli intervistati partecipa a una forma previdenziale in cui versa il TFR e tale quota è relativamente maggiore (oltre che, ovviamente, fra i dipendenti) fra gli uomini, fra chi ha salari superiori a 1.000 euro al mese, fra chi è residente nel Nord o nel Centro.
Emerge chiaramente una correlazione fra stato occupazionale e accesso a forme di previdenza complementare: il 68% di coloro che dichiara di essere disoccupato infatti dichiara di non aver sottoscritto alcuna forma di pensione integrativa o polizza vita).
Altra forte correlazione si riscontra tra categoria di reddito e accesso a previdenza integrativa: mentre l’80% degli intervistati con reddito oltre i 2.000 euro dichiara di avere fondo pensione o polizza vita, questa percentuale scende al 50% per le categorie più fragili (i.e. redditi mensili netti inferiori a 1.000 euro).
La maggioranza degli iscritti a forme pensionistiche complementari o in possesso di polizze vita dichiara di essere adeguatamente informata sulle caratteristiche di tali prodotti (anche se la quota di “informati” varia a seconda dell’aspetto che si considera ed è massima per quanto riguarda il livello delle contribuzioni mensili (70,6%) e minima quando la domanda attiene al regime fiscale applicato alle forme previdenziali integrative (58,3%).
Una quota non irrilevante degli intervistati (16,3%) dichiara che sarebbe fortemente interessata a investire in ETF anziché nelle diverse forme di previdenza integrativa e tale quota è sensibilmente più alta fra chi è informato su andamenti e funzionamento dei mercati finanziari, cresce con il salario degli intervistati e decresce con la loro età. La quota di chi investirebbe in ETF o, in modo bilanciato, in ETF o fondo pensione è sensibilmente maggiore (40,3%) e, oltre che rispetto alle variabili già richiamate con riferimento alla scelta di investimento solo in ETF, è sensibilmente più elevata fra gli uomini che fra le donne, a segnale di una possibile maggiore propensione al rischio dei primi.