Transizione ecologica e sviluppo industriale sostenibile. Il ruolo delle imprese secondo Alessia Potecchi
INDUSTRIA E TRANSIZIONE ECOLOGICA
Intervista ad Alessia Potecchi
Come vede il tema della transizione ecologica in Italia e in Europa?
“L’Europa ha preso degli impegni concreti in tema di transizione ecologica dandosi l’obiettivo del 2050 per giungere a diventare il primo continente a raggiungere la neutralità climatica. Il Green Deal europeo ci porta per forza di cose ad apportare cambiamenti importanti nel nostro modo di lavorare, di consumare, di comunicare, di produrre, di viaggiare, di relazionarci. Questo è un processo complesso che la politica deve gestire tenendo insieme la sostenibilità ambientale e la coesione sociale. Ancora oggi, pur a fronte di una caduta della produzione nazionale di autoveicoli, il settore automotive ha, nel suo complesso, un peso molto importante nell’economia italiana. Do qualche dato significativo: L’industria dell’auto vale in Italia un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6% del Pil e nel solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, operano oltre 2mila imprese e 180mila lavoratori e si realizza il 7% delle esportazioni metalmeccaniche nazionali per un valore di 31 miliardi di euro. In quest’ambito, dove gli effetti della crisi pandemica hanno particolarmente pesato sulla domanda e sulla produzione di autoveicoli, si sommano anche i pesi dei ritardi negli approvvigionamenti di componentistica elettronica e la rivoluzione elettrica. L’Unione europea ha previsto entro il 2035 lo stop alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio, confermata anche dal Governo italiano. Questi cambiamenti devono essere accompagnati da provvedimenti concreti per evitare ricadute occupazionali pericolose, si stima infatti la perdita di 73.000 posti di lavoro e l’aggravarsi della crisi sociale”.
Le guerre scoppiate negli ultimi due anni hanno modificato sostanzialmente lo scenario?
” Sì, lo scenario è drammaticamente cambiato con l’invasione russa dell’Ucraina, la guerra in Medio Oriente. La sicurezza nazionale ed europea deve diventare fattore centrale nelle scelte di politica energetica e industriale e devono farci riconsiderare alcune scelte strategiche tenendo conto di quello che sta accadendo. La Transizione Green ci pone davanti a questioni nuove perché se da una parte produce nuovi posti di lavoro dall’altra porta anche un calo dell’occupazione nei settori ad alta intensità energetica e quindi la necessità di un adeguamento importante su queste questioni e una nuova riorganizzazione globale di interi settori. Occorre valorizzare e incentivare il nostro comparto manifatturiero che ha delle eccellenze importanti e di valore ed evitare che le fasce più deboli paghino il prezzo più alto rispetto a questi processi per quanto riguarda l’occupazione, il reddito e la sicurezza sociale”.
Come si potrebbe agire in questo contesto?
“Dobbiamo agire innanzitutto in ambito europeo con gli strumenti sociali che guardano in lunga prospettiva e che affrontino il tema della transizione ecologica sul lavoro. Sul piano italiano va definito un patto nazionale per la transizione ecologica e digitale adattandolo anche ai singoli territori dove sono presenti caratteristiche particolari ed esperienze e realtà diverse che vanno gestite nel modo giusto per puntare ad una sinergia per quanto riguarda le politiche industriali in un momento storico e strategico con l’obiettivo che la transizione non diventi deindustrializzazione e per puntare a processi di sviluppo di attività di carattere innovativo e di rilancio. Occorrono degli interventi strutturali per rendere competitivo l’intero settore dell’auto e per incentivare l’acquisto dei veicoli elettrici”.
Riusciremo a completare questo processo di transizione?
“Certamente la transizione ecologica è un processo non più eludibile né rinviabile ma vanno introdotte prospettive di lavoro ed iniziative politiche condivise per affrontare un momento storico nel quale le opportunità di sviluppo si affiancano a gravi rischi. Bisogna studiare gli impatti e le conseguenze specifiche dei cambiamenti, gestire tutte le crisi industriali già aperte, puntare ad investimenti per sostenere la domanda verso le tecnologie che sono compatibili con il Green Deal, promuovere investimenti a sostegno dell’occupazione e della ricerca per valorizzare le eccellenze e le competenze italiane, puntare ad ammortizzatori sociali per gestire la transizione e incrementare il programma di formazione e di accompagnamento in questa nuova fase.
È un lungo e complesso lavoro ma dobbiamo essere pronti e non arrivare impreparati, la transizione ecologica e digitale sarà una grande opportunità per il nostro paese per riportare al centro dell’agenda politica le politiche industriali e una sfida per l’Italia e per l’Europa per mettere in campo strumenti innovativi per gestire nel modo migliore la ricollocazione dei lavoratori e contenere le perdite occupazionali. Anche questo tema si deve trasformare in una opportunità operativa per fare passi in avanti in settori considerati strategici per l’economia e lo sviluppo del nostro paese, una opportunità che dobbiamo cogliere e non sprecare guardando al futuro con fiducia e operatività”.
Ha ancora senso parlare di competizione e innovazione?
“Abbiamo bisogno di una politica industriale europea ma anche italiana che sia all’altezza del momento che stiamo vivendo e attraversando capace di indirizzare le applicazioni tecnologiche verso un modello di sviluppo nuovo. Dobbiamo introdurre dei programmi atti a dimostrare che la competizione e l’innovazione si basano sui valori sociali e democratici puntando ai diritti dei lavoratori, alla sostenibilità ambientale e alla lotta alle diseguaglianze. Vanno creati degli asset a livello europeo e va fatto in modo che la ripresa di politiche industriali nazionali non rallenti il processo di integrazione dell’industria europea favorendo spinte nazionalistiche che oggi appaiono non solo inefficaci ma anche dannose, perché rischiano di alimentare una competizione interna sugli aiuti di Stato a danno dei paesi con minore spazio fiscale. La politica Industriale, anche sul piano nazionale, va fatta procedere di pari passo e in connessione alla risoluzione delle grandi questioni sociali ed ambientali del pianeta: il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione, la qualità della vita, lo spostamento della ricchezza globale. Le agevolazioni fiscali e i finanziamenti sul piano nazionale devono essere dati alla condizione che le imprese che ne usufruiscano attuino seriamente il rispetto dei contratti, le norme di sicurezza sul lavoro, la parità di genere e il sostegno ad investimenti ambientalmente sostenibili. È necessaria una nuova complementarità tra intervento pubblico ed iniziativa privata”.
Un ultimo punto: la crisi climatica
“Abbiamo poco tempo a disposizione per affrontare la crisi climatica: il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre. Nel 2023 sono stati ancora superati i record relativi ai livelli di gas serra, alle temperature superficiali, al surriscaldamento e all’acidificazione degli oceani, all’innalzamento del livello del mare, alla copertura del ghiaccio marino antartico e al ritiro dei ghiacciai. Agenti atmosferici imponenti come la siccità, gli incendi, le inondazioni hanno colpito la vita di milioni di persone influendo in maniera massiccia sulle perdite economiche creando problemi e devastazioni. C’è da porre una sfida importante e va chiesto con forza all’Europa l’utilizzo di strumenti efficaci, di risorse consistenti per accompagnare le imprese nella complessa transizione, per potenziare la capacità industriale e l’autonomia strategica europea nei settori chiave per il futuro”.