Amchor IS: Nel 2025 Fed e Bce taglieranno meno di quanto scontato dai mercati
Comunque la si guardi, i dati macro degli ultimi due mesi negli Stati Uniti non sono affatto compatibili con un rischio rilevante di recessione nel breve termine. Si tratta di un’ottima notizia, che in ogni caso indurrà la Fed a tagliare i tassi di interesse molto meno di quanto il mercato abbia scontato, soprattutto nel 2025. Nell’Eurozona, l’attività continua a mancare di slancio e questo, insieme al chiaro calo dell’inflazione, porterà la Bce a tagliare nuovamente i tassi a ottobre. Detto questo, pur riconoscendo che quest’anno la crescita europea è stata inferiore alle nostre aspettative, continuiamo a ritenere che i fondamentali dei consumi privati in Europa siano solidi e che ciò porterà a un rimbalzo di questa variabile nei prossimi trimestri.
Un altro aspetto positivo è che le autorità cinesi hanno chiaramente “intensificato gli sforzi di stimolo”, il che aiuterà la Cina a raggiungere gli obiettivi di crescita per quest’anno. Per il resto, l’economia del Regno Unito continua a mostrare una certa forza, anche l’Asia emergente ex Cina rimane solida e le prospettive per il Giappone restano ragionevolmente favorevoli, con i consumi che iniziano a essere sostenuti da salari che da alcuni mesi crescono al di sopra dell’inflazione.
Alla luce di tutto ciò, manteniamo un atteggiamento cautamente costruttivo nei confronti degli asset di rischio, continuiamo a ritenere che la parte centrale e lunga delle curve dei rendimenti presentino più rischi di rialzo che di ribasso e, da metà settembre, siamo diventati più favorevoli al dollaro, come copertura contro i rischi derivanti sia dal conflitto in Medio Oriente sia dalle elezioni statunitensi.
Nessun rischio di recessione negli Stati Uniti
I dati macro statunitensi non solo non mostrano alcun rischio di recessione, ma sono coerenti con una crescita in linea o leggermente superiore al potenziale nel terzo trimestre.
La tenuta dell’economia è un segnale sempre più evidente che il tasso neutrale negli Stati Uniti potrebbe non essere molto inferiore al 4% nominale. Questo, a sua volta, avrà conseguenze rilevanti per la politica monetaria della Fed nei prossimi trimestri. In particolare, pur ritenendo possibili altri due tagli di 25pb quest’anno, vediamo pochi ulteriori tagli dei tassi d’interesse nel corso del 2025, con un tasso terminale che potrebbe essere raggiunto già nel primo trimestre del prossimo anno e aggirarsi intorno al 4%, in linea con le nostre stime sul tasso neutrale.
Bce verso altri due tagli entro fine anno
L’Eurozona, e non a causa dei soliti sospetti ma, piuttosto, di paesi come la Germania, continua a non mostrare segni di ripresa, cosa che, insieme al buon andamento dell’inflazione, porterà la Bce ad abbassare i tassi sia a ottobre sia a dicembre.
Allo stesso tempo, ci sono ancora forti ragioni per aspettarsi un rimbalzo apprezzabile dei consumi privati nei prossimi trimestri. Stando così le cose, e anche se ciò che dominerà il sentiment del mercato nel breve termine sarà il passaggio della Bce a un tono molto più dovish di quello mantenuto fino a metà settembre, pensiamo che i tassi nel 2025 scenderanno molto meno di quanto scontato, con un tasso terminale che potrebbe rimanere molto vicino al 3%. Senza uscire dall’Europa, da sottolineare anche che l’economia britannica ha mostrato segni di forza.
Le prospettive per l’Asia
Gli stimoli cinesi delle ultime settimane sono molto rilevanti e contribuiranno a dare una base ragionevolmente solida all’attività economica del paese. Allo stesso tempo, la situazione nel resto dell’Asia emergente continua a essere piuttosto invidiabile, sia in termini di crescita che di stabilità macroeconomica.
Grazie soprattutto ai salari che stanno consolidando una crescita superiore all’inflazione, nei prossimi mesi ci aspettiamo segnali di rimbalzo sul fronte macro in Giappone. Allo stesso tempo, però, non vediamo segnali di surriscaldamento dell’economia, per cui è molto probabile che la BOJ possa continuare a essere paziente in termini di ulteriori rialzi dei tassi di interesse, e sebbene il nuovo leader della LPD fosse stato percepito dal mercato come favorevole a una più rapida normalizzazione della politica monetaria da parte della BOJ, le sue dichiarazioni delle ultime settimane hanno chiarito che la sua priorità è il superamento della deflazione e che non è affatto favorevole a qualsiasi tipo di azione che possa essere percepita come da falco da parte dell’autorità monetaria giapponese.
Rischi da monitorare: Medio Oriente, elezioni Usa e bilancio in Francia
Per quanto riguarda i rischi, teniamo d’occhio la situazione in Medio Oriente, l’esito delle elezioni americane e l’evoluzione del contesto politico e di bilancio in Francia.
Sul primo punto, c’è ovviamente molta incertezza, ma riteniamo che Israele non cercherà una risposta particolarmente aggressiva all’ultimo attacco iraniano e cercherà piuttosto di concentrarsi sulle “azioni” che sta attualmente conducendo in Libano contro Hezbollah e a Gaza contro Hamas.
Per quanto riguarda le elezioni statunitensi, non ci azzardiamo a fare un pronostico, ma, ad oggi, il nostro scenario centrale prevede la vittoria di Kamala Harris, che sarebbe logicamente positiva sia per gli asset europei sia per quelli dei mercati emergenti. Detto questo, la probabilità di vittoria di Trump è sufficientemente alta da indurci a privilegiare posizioni lunghe sul dollaro e corte sul Treasury decennale come copertura.
Nel caso della Francia, Barnier ha delineato un programma ambizioso per la riduzione del deficit pubblico, che sembra basarsi più sul controllo della spesa pubblica che su un aumento generalizzato delle tasse. Comunque sia, anche se la semplice presentazione di un piano del genere è chiaramente incoraggiante, non è affatto certo che il parlamento francese sosterrà una politica di consolidamento fiscale decisa. Pertanto, continuiamo a considerare con cautela l’esposizione al debito pubblico di questo Paese.
View di mercato Azionario: il nostro scenario macro centrale è ragionevolmente positivo e, per questo motivo, riteniamo che, a patto di evitare posizioni eccessive nelle parti più costose del mercato, sia possibile mantenere un’esposizione azionaria prudentemente costruttiva. In termini di stile, privilegiamo i titoli ciclici rispetto a quelli difensivi, una sufficiente ponderazione nelle small e mid cap e sosteniamo anche posizioni equilibrate tra value e growth. Dal punto di vista geografico, continuiamo a privilegiare le azioni europee (compreso il Regno Unito) rispetto a quelle statunitensi.
Titoli di Stato: sebbene la duration abbia funzionato bene come protezione nei momenti di crollo del mercato durante l’estate, agli attuali livelli di rendimento non vediamo valore nella parte lunga delle curve governative. Da un lato, perché riteniamo che i tassi terminali di molte banche centrali, tra cui la Fed e la Bce saranno più alti di quanto attualmente scontato dal mercato. In secondo luogo, non escludiamo affatto che a un certo punto i mercati decidano di prestare attenzione alla pessima situazione fiscale in cui versano diverse grandi economie.
Obbligazioni societarie: continuiamo a favorire il credito perché i bilanci societari sono sani e perché i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, dato che gli spread sono piuttosto compressi, continuiamo a ritenere che abbia senso combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale.
Valute: dopo aver evitato il dollaro per la maggior parte dell’anno, il mese scorso abbiamo iniziato a segnalare che era giunto il momento di prendere posizioni in questa valuta, sia per la buona situazione dell’economia statunitense sia, soprattutto, come copertura dai rischi legati alla situazione in Medio Oriente o all’esito delle elezioni americane. Ci piacciono alcune valute dei Paesi sviluppati, come dollaro neozelandese, dollaro australiano, sterlina, dollaro canadese, corona norvegese e corona svedese.