Gli effetti inattesi della riforma Monti-Fornero
Il recente Rapporto annuale dell’Inps contiene un interessante approfondimento sugli effetti indesiderati della riforma Monti- Fornero del Dicembre 2011, in vigore dal gennaio 2012.
Come viene ricordato essa ha inciso radicalmente sul sistema pensionistico italiano, aumentando l’età di accesso alla pensione di vecchiaia e innalzando i requisiti di accesso alla pensione anticipata. La riforma aveva l’obiettivo non solo di assicurare la sostenibilità del sistema pensionistico, ma anche la sua equità intergenerazionale e intragenerazionale.
Alla luce dei divari pre-esistenti alla riforma, le misure adottate hanno influito maggiormente sulle donne rispetto agli uomini, viene sottolineato. Se per gli uomini (del settore privato) la legge Monti-Fornero di fatto non ha modificato l’età di accesso alla pensione di vecchiaia, per le donne (del settore privato) è aumentata da 60 a 64 anni per le nate nel 1952 (prima coorte soggetta alla riforma) e da 60 a 67 anni per le nate dal 1953 in poi.
La riforma Monti-Fornero però non ha modificato la possibilità di anticipare l’uscita dal mercato del lavoro, che era già disponibile per le donne attraverso “Opzione Donna”. Tale istituto, rivisto di recente (L. n. 197 del 2022), permetteva di andare in pensione con un minimo di 35 anni di contributi e 57 anni d’età. Il trattamento pensionistico associato all’Opzione Donna è calcolato col metodo contributivo, ovvero basato sui contributi versati nel corso dell’attività lavorativa, e per questo spesso meno generoso dei trattamenti calcolati col metodo retributivo o misto, che sono basati almeno in parte sulle retribuzioni percepite negli ultimi anni di attività lavorativa. In un contesto istituzionale come quello italiano, in cui le donne tendono ad avere carriere discontinue e un basso attaccamento al lavoro e tendono ad uscire dal mercato del lavoro appena raggiunti i requisiti per la pensione, diventa cruciale analizzare gli effetti che riforme come la Monti-Fornero possono avere sulle scelte pensionistiche delle donne.
L’esercizio svolto si è concentrato sulle lavoratrici dipendenti del settore privato nate nel 1952 che, al momento della riforma, sarebbero potute andare in pensione di vecchiaia nel 2012 (con 20 anni di contribuzione). A causa delle nuove regole, avrebbero invece dovuto attendere almeno il 2016, o avere almeno 41 anni di contributi per accedere alla pensione anticipata.
In Italia, storicamente, le donne tendono ad uscire dal mercato del lavoro attraverso la pensione di vecchiaia, in quanto il requisito contributivo per la pensione anticipata è elevato e per loro difficilmente raggiungibile.
Al contrario, le lavoratrici nate un anno prima, nel 1951, hanno potuto continuare ad andare in pensione secondo le regole pre-riforma, ovvero con 60 anni di età. Ferma per entrambe le coorti la possibilità di accedere all’Opzione Donna con 35 anni di servizio.
Si evidenzia dalla analisi in primo luogo come una porzione importante di donne è andata in pensione all’ eta di 64, 64.5 o 67 anni, in linea con i requisiti anagrafici fissati dalla riforma Fornero; in secondo luogo, una frazione importante di donne si è pensionata a 61 anni, nel 2012, subito dopo l’entrata in vigore delle nuove regole e la quota di donne che, nel complesso, è andata in pensione prima dei 64 anni, ovvero senza attendere gli ulteriori 4 anni richiesti dalle nuove regole, risulta considerevole.
L’esercizio è proseguito con una analisi econometrica “di differenze in discontinuità“, nella quale le nate nel 1952 con 35 anni di contributi sono state confrontate alle nate nel 1951 con gli stessi anni di contributi. I risultati mostrano che le prime, soggette alla riforma, hanno anticipato l’uscita dal mercato attraverso l’Opzione Donna ad un tasso maggiore delle nate nel 1951.
In termini di età di pensionamento, questo ha implicato che la loro età media effettiva di pensionamento sia stata intorno ai 61 anni di età invece dei 64 previsti dalla Riforma. Questo ha avuto effetti significativi sull’assegno pensionistico, che è risultato del 4% più basso rispetto a quello percepito dalle donne del 1951, a parità di anzianità contributiva.
Nel complesso, quindi, conclude l’Inps, l’analisi mostra che l’innalzamento sostanziale dell’età di accesso alla pensione ha indotto molte donne ad anticipare l’uscita dal mercato del lavoro, nonostante le perdite monetarie. Riforme più graduali di innalzamento dell’età pensionabile avrebbero forse evitato a donne molto vicine al pensionamento di optare per schemi pensionistici penalizzanti per anticipare l’uscita dal mercato del lavoro.