Trump, ora lo sguardo va a FED, inflazione, emergenti e Cina

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Anche se non tutti gli Stati americani hanno ancora emesso il loro verdetto defintivo, i risultati in questa fase lasciano pochi dubbi sull’identità del 47° presidente della storia degli Stati Uniti, che sarà effettivamente D. Trump, che ha un vantaggio sufficiente negli Stati chiave per assicurarsi la maggioranza di 270 seggi nel Collegio Elettorale, grazie alle sue vittorie decisive in Pennsylvania, Georgia e North Carolina. Trump ha beneficiato in particolare della crisi di fiducia degli americani per quanto riguarda la situazione economica del Paese, con oltre il 50% che l’ha indicata come la propria principale preoccupazione, secondo gli exit poll.

I repubblicani si sono assicurati anche il controllo del Senato, il che renderà più facile la nomina dei giudici federali e dei capi delle agenzie governative, compreso forse il successore di J. Powell alla guida della Fed nel 2026. D’altra parte, è ancora troppo presto per identificare il partito vincitore alla Camera dei Rappresentanti, con i candidati democratici che finora hanno mostrato una maggiore tenuta rispetto ai risultati di K. Harris nei rispettivi Stati. L’incertezza potrebbe durare diversi giorni se la maggioranza sarà decisa dall’esito delle elezioni in Occidente (California, Arizona), dato che alcuni Stati accettano schede assenteiste che arrivano fino a 4 giorni dopo le elezioni. Data l’importanza cruciale di questo tema per l’attuazione dell’agenda di Trump, è probabile che gli investitori attendano i risultati prima di aumentare le proprie posizioni sui mercati. Il controllo di entrambe le camere del Congresso determinerà il futuro della sua riforma fiscale, che dovrebbe abbassare l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società dal 21% al 15% e la cui anticipazione spiega in gran parte il rialzo dei mercati azionari statunitensi di oggi. Tuttavia, Trump dovrebbe almeno estendere oltre il 2025 i tagli fiscali per le famiglie e le imprese concordati nel 2017.

Nel caso specifico di un Congresso diviso e in assenza di un’ambiziosa riforma fiscale, è probabile che le speranze di un ulteriore sostegno all’economia statunitense su cui alcuni investitori contano si affievoliscano, frenando la spinta al rialzo dei mercati azionari. Ciò sarà tanto più marcato in quanto Trump concentrerà tutta la sua attenzione sugli altri aspetti del suo programma, che probabilmente alimenteranno ulteriori pressioni inflazionistiche.

Più in generale, l’inflazione sta già lottando per tornare all’obiettivo della Fed e potrebbe addirittura accelerare con la presidenza Trump. Mentre gli investitori tengono d’occhio il rischio dei dazi, l’aspetto più inflazionistico del programma di D. Trump è la sua volontà di ritirare milioni di lavoratori immigrati dal mercato del lavoro, già sotto pressione. Il rapporto tra posti di lavoro aperti e lavoratori disoccupati è ancora superiore a 1 e probabilmente aumenterà ancora se questa politica verrà attuata, contribuendo a sostenere gli aumenti salariali e quindi l’inflazione sottostante. Anche la guerra commerciale di Trump contro la Cina (tassa del 60% su tutti i prodotti) e il resto del mondo (tassa universale del 10% su tutti i prodotti) potrebbe alimentare una nuova ondata di inflazione. Storicamente, i dazi hanno sempre portato a un aumento dei prezzi dei prodotti interessati, anche durante l’episodio del 2018-2019, con la differenza che l’economia statunitense ha ora una capacità molto maggiore di generare inflazione.

Tutti questi fattori metteranno probabilmente in discussione il successo della Fed nel controllo dell’inflazione e potrebbero indurla a rallentare l’attuale allentamento monetario. È improbabile che la Banca centrale statunitense prenda in considerazione le questioni politiche nella riunione del 7 novembre, preferendo aspettare di avere le idee più chiare sulle priorità economiche del vincitore, e quindi procederà con un taglio di 25 pb del tasso di riferimento. Tuttavia, man mano che l’impatto inflazionistico del programma di Trump diventerà più chiaro, la FED potrebbe abbandonare parzialmente il taglio di 100 pb anticipato nel suo ultimo rapporto. Tuttavia, dobbiamo rimanere attenti al rischio di indipendenza della Fed, dato il desiderio dichiarato di Trump di interferire nel processo decisionale dell’istituzione, anche se sarà difficile per lui sfidare la presidenza di J. Powell prima della fine del suo mandato nel 2026.

Questo significativo aggiustamento della politica monetaria della Fed era stato anticipato solo in parte dai mercati finanziari e la sua incorporazione continuerà ad alimentare la volatilità dei tassi sovrani, sia nella componente dell’inflazione che in quella dei tassi reali. Mentre i mercati azionari statunitensi potranno contare sugli effetti positivi della riforma fiscale sugli utili per continuare a salire nel caso di un Congresso repubblicano – almeno nel breve termine – l’impatto sarà più ambiguo in caso di condivisione del potere. D’altro canto, è probabile che il resto del mercato azionario internazionale rimanga sotto pressione in entrambi i casi, in particolare quello europeo che deve affrontare il rischio di barriere tariffarie. D’altro canto, lo spettro di una guerra commerciale dovrebbe sostenere il dollaro rispetto a tutte le valute, così come il repricing della Fed.

Stiamo quindi riducendo i nostri investimenti nella zona dei mercati emergenti, mantenendo una view più costruttiva sulla Cina, dove il coordinamento degli stimoli fiscali, di bilancio e monetari potrebbe sostenere questa zona. Manteniamo inoltre una posizione neutrale sui mercati azionari, in un periodo caratterizzato da una maggiore volatilità dei tassi d’interesse e della geopolitica. Infine, la tendenza al ribasso del petrolio è destinata ad accelerare, indebolita dalla determinazione del nuovo Presidente degli Stati Uniti ad aumentare la produzione di petrolio statunitense. L’impatto non sarà diretto, in quanto i produttori statunitensi rimangono principalmente guidati dall’obiettivo di generare maggiori rendimenti per gli azionisti, ma l’abolizione degli standard ambientali e delle autorizzazioni a trivellare sui terreni federali dovrebbe avere un effetto marginale di rialzo sulla produzione. Ciò potrebbe far precipitare ulteriormente i prezzi del petrolio, poiché l’OPEC potrebbe decidere di reagire con una guerra dei volumi per evitare di perdere ulteriori quote di mercato.