SLOW FIBER sull’obbligo di differenziata per i rifiuti tessili: dobbiamo produrre meno e meglio
Con la nuova normativa, ogni Comune deve predisporre sul proprio territorio appositi cassonetti dedicati, in cui i cittadini dovranno conferire abiti e accessori di abbigliamento. L’obiettivo è di intercettare la maggior quantità possibile di materiale tessile e, anziché avviarlo alla discarica, recuperarlo e riciclarlo per riutilizzare le fibre tessili.
L’Italia, almeno su carta, si era mossa in anticipo rispetto all’obbligo europeo, introducendo la differenziata per i rifiuti tessili già dal 1° gennaio 2022 (DL 116/2020). Una buona intenzione che ha trovato poco riscontro nei fatti, mancando un decreto attuativo. E ancora oggi, a due mesi di distanza dall’entrata in vigore, l’obbligo sembra essere poco noto ai cittadini, anzi in molte città italiane mancano i cassonetti dedicati e, laddove i cassonetti sono già arrivati, la differenziata avviene spesso male e in modo incontrollato, perché i cittadini non sono sufficientemente informati, nonostante siano previste multe salate, fino a 2500 euro, per chi getta i rifiuti tessili nell’indifferenziato.
Dario Casalini, fondatore e presidente di SLOW FIBER, associazione nata nel 2022 che, ispirandosi ai medesimi principi di Slow Food, vuole promuovere nella filiera tessile un nuovo modello produttivo attraverso la creazione di prodotti belli, buoni, sani, puliti, giusti e durevoli, commenta così la situazione: “Quello tessile è un rifiuto complicatissimo, perché andrebbe disassemblato. Se ha fibre miste, dovrebbero essere separate, e non sempre è possibile a livello meccanico o chimico. E poi andrebbero disassemblate le parti con composizioni disomogenee rispetto a quella che si vuole riciclare. Con le attuali quantità di rifiuti tessili prodotti, in crescita costante, è un’impresa titanica.”
Il timore espresso dalla rete Slow Fiber, che a oggi riunisce circa 30 aziende della filiera tessile, è che il riciclo diventi un pretesto per non affrontare alla radice un problema ben più serio, quello della sovraproduzione e dell’iper-consumismo: convincere il consumatore che “tanto si può riciclare” rischia di farci cadere in questa trappola. Slow Fiber sostiene sia urgente ripensare i paradigmi della produzione e del consumo, allontanarci dagli acquisti usa e getta per tornare a pensare che un oggetto, sia esso capo di abbigliamento o arredo o qualsiasi altra cosa, debba essere pensato e realizzato per durare il più a lungo possibile. Questo si può fare solo producendo beni di qualità. E la qualità si porta dietro materie prime selezionate e un lavoro qualificato, che non può nascere dallo sfruttamento delle persone.
La gestione dei rifiuti tessili è fondamentale perché si comprano sempre più capi di abbigliamento e il tempo medio di utilizzo degli stessi si è ridotto. Ma affinché la soluzione sia efficace il cambiamento deve avvenire alla radice.
E in questa direzione di sta muovendo l’Unione Europea: entro il primo quadrimestre 2025 il testo normativo UE sull’EPR tessile (Responsabilità Estesa del Produttore) dovrà essere recepito dagli ordinamenti nazionali. Gli stessi produttori saranno responsabili dei rifiuti prodotti e saranno tenuti a pagare una tariffa per contribuire a finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti, che dipenderà da quanto circolare e sostenibile sarà la progettazione del loro prodotto: chi produce impatti maggiori con i prodotti tessili che progetta e immette sul mercato pagherà un ecocontributo più alto per finanziare i sistemi di responsabilità estesa: ovvero “chi inquina di più, paga di più”.
In merito a questo continua Casalini: “Creare dei sistemi di responsabilità è utile, perché dovrebbe convincere il sistema a produrre molto meno. Così come è fondamentale poter inserire i prodotti a fine vita in cicli virtuosi. …Quello che non vorremmo che accadesse è, dopo aver introdotto una responsabilità dei produttori, continuare a spedire la maggior parte dei rifiuti tessili nel sud globale, oppure averne una percentuale gestita male. A oggi, tutti i rifiuti tessili confluiscono in un unico posto, ma poi devono essere separati per composizione, per il loro stato… se ciò non avviene, non stiamo risolvendo il problema. La quantità attuale di capi prodotti e gettati è grandissima e continuerà a crescere, così com’è non è gestibile nel tempo. Continuare a inseguirla è un palliativo.”