Accordo minerario tra USA e UCRAINA

George Cotton, Portfolio Manager del fondo JSS Commodity - Transition Enhanced -

L’accordo sui minerali ucraini è intrigante perché l’Ucraina non dispone di grandi giacimenti economicamente redditizi di cosiddetti minerali critici o terre rare che potrebbero essere sviluppati dalle principali società minerarie, soprattutto rispetto a molti progetti in corso in Nord America che sono ancora in fase di autorizzazione. I geologi dell’era sovietica hanno stimato l’entità dei potenziali giacimenti durante gli anni ’80, ma da allora l’industria mineraria del paese si è sviluppata poco, a parte il minerale di ferro, il carbone, il manganese e il titanio. Con il valore totale di queste esportazioni che non superava i 10 miliardi di dollari prima dell’invasione del 2022, l’approvazione dell’accordo è significativa da un punto di vista politico per due motivi. In primo luogo, segnala la volontà dell’Ucraina di riprendere i rapporti con l’amministrazione Trump e inaugura un’era di geopolitica “transazionale”, molto lontana dall’ordine basato sulle norme che ha prevalso nell’ultimo mezzo secolo.

L’ipotesi di un accordo di tale natura riflette una nuova realtà, in cui le alleanze e le fedeltà in termini di sicurezza sono condizionate alla fornitura di benefici finanziari concreti agli Stati Uniti, e l’accordo in analisi sembra voler inviare un chiaro segnale: l’utilizzo delle catene di approvvigionamento al fine di raggiungere obiettivi geopolitici o nazionali è lecito sia con gli alleati che con i nemici. A nostro avviso, ciò accresce significativamente il rischio geopolitico e suggerisce che probabilmente si assisterà a una maggiore volatilità nei mercati globali delle materie prime nei prossimi anni.

Le tariffe hanno già causato un rilevante movimento di materiale verso gli Stati Uniti, in quanto grande importatore, per anticipare l’introduzione delle tariffe, determinando significative differenze di prezzo a livello regionale e picchi di prezzo per i metalli. Similmente, i mercati agricoli statunitensi, per i quali gli Stati Uniti sono un importante esportatore, hanno registrato un calo delle vendite per timore di tariffe di ritorsione. Si osserva, pertanto, un ritorno a un contesto di “politica via tweet”, con fluttuazioni di tale ampiezza che potrebbero divenire una tendenza per i prossimi anni.

Siamo dell’opinione che un’ampia esposizione alle materie prime possa offrire agli investitori interessanti vantaggi di diversificazione rispetto alle asset class tradizionali in questo nuovo contesto. Tuttavia, dopo due anni di performance altalenanti, potremmo assistere a un’inversione di tendenza nei metalli industriali, poiché gli attori globali sono sempre più in competizione per ricostituire le scorte e maggiori stimoli in Cina o riforme fiscali in Europa riaccendono la spesa in conto capitale per infrastrutture e attrezzature.