Dazi: Mele (Sfbm), la non sostenibilità del disavanzo è il motivo delle scelte di Trump
“Il voler utilizzare i dazi come politica economica internazionale non è una novità o qualcosa di strano: nella teoria economica del commercio internazionale esistono capitoli dedicati a tali misure. Eppure, leggendo quanto stanno riportando numerosi quotidiani, potrebbe sembrare una invenzione retrograda del presidente Trump ma si dimentica che gli USA già anni fa utilizzarono la tassazione doganale per rilanciare l’economia interna”.
Lo afferma il Professor Marco Mele, economista e amministratore unico della Sfbm (gruppo Gse).
“Senza ritornare alla cosiddetta ‘Gilded Age’ del 1890 dove i dazi al 50% non destabilizzarono le importazioni, già durante il primo mandato Trump si sono registrate importanti misure protezionistiche degli USA specialmente nei confronti della Cina e molte di esse furono mantenute dal presidente Biden. Il risultato, tuttavia, fu quello che il deficit commerciale con la Cina continuò a crescere e soltanto il rallentamento della crescita interna del Gigante asiatico, avvenuta dal 2022, limitò il deficit commerciale statunitense. E arriviamo ad oggi. Come mai il presidente Trump ha deciso nuovamente di imporre dazi al resto del mondo? Il motivo alla base di tale scelta, che nessuno dice – continua Mele – è che esiste la possibilità, per la prima volta, di una non sostenibilità del disavanzo. Per spiegare tale timore, ricordiamo come nel corso degli anni i disavanzi del conto corrente della bilancia dei pagamenti statunitensi (dagli anni ’80 registra trend negativi) hanno generato afflussi continui di dollari nei paesi in surplus che, per converso, hanno in gran parte investito in attività finanziarie americane. In tal modo, tutti i paesi con saldi attivi della loro bilancia commerciale non hanno fatto altro che finanziare i crescenti disavanzi USA e, giocando tra il differenziale del risparmio, hanno accresciuto la dipendenza degli Stati Uniti dagli afflussi di capitale estero”. “Questa situazione – sottolinea – sarebbe potuta persistere fintanto che, come affermò l’economista Cooper nel 2005, fosse esistito un rapporto tra la posizione netta degli investimenti internazionali statunitensi sul PIL inferiore al 20%. Di fatto, se andiamo a leggere i dati del Bureau of Economic Analysis a fine 2024, ci rendiamo conto come dalla crisi finanziaria del 2007 ci sia stato un calo repentino della posizione patrimoniale netta sull’estero degli Stati Uniti e ne sia aumentata, quindi, la passività Usa verso il resto del mondo. Il risultato è che quel famoso rapporto che non avrebbe dovuto superare il 20% è repentinamente cresciuto ben oltre la soglia di sostenibilità”.
“Trump, e quindi la governance USA, ha deciso di limitare il deficit commerciale statunitense attraverso dazi doganali, coscienti del fatto che oltre una determinata soglia i pagamenti connessi al servizio del debito sarebbero finiti per sottrarre risorse all’economia reale comprimendo, internamente, i consumi e gli investimenti. Il timore è che in un prossimo futuro, oltre al deficit commerciale, gli USA possano pagare un vero rallentamento dell’economia interna”, conclude.