Imprese italiane: poca trasparenza sul web

di Rosaria Barrile -

L’analisi “Webranking” condotta da Lundquist promuove solo Sace e Granarolo su 50 società valutate per la loro capacità di comunicazione attraverso i siti aziendali

Cresce l’attenzione da parte delle grandi imprese italiane non quotate per i canali di comunicazione digitale ma la trasparenza e l’apertura restano ancora modeste.

Ad affermarlo è l’analisi Webranking, condotta daLundquist, che in Italia promuove solo due società sulle 50 valutate: si tratta di Sace e Granarolo che hanno superato il 50% del punteggio massimo (ottenendo più di 40 punti su un totale di 80).

In questa seconda edizione del rapporto, ben 35 aziende sono state bocciate (punteggio inferiore al 30%) mentre le altre 13 aziende hanno ottenuto tra il 30% e il 50% del punteggio. In termini di classifica, Sace (41,4 punti su 80) si aggiudica il primo posto, seguita da Granarolo (40,7) e da Poste Italiane (39) che era stata valutata prima della sua quotazione avvenuta il 27 ottobre.

Più in generale, i risultati 2015 confermano il trend dello scorso anno. I punteggi più elevati sono stati raggiunti solo in alcuni dei parametri analizzati tra cui la presentazione dell’azienda (valori, storia, aree di business), la presenza sui social media e l’attenzione al mobile.

Nonostante un netto miglioramento, l’area delle informazioni finanziarie resta una delle più deboli. Ancora oggi il 58% dei siti aziendali analizzati non fornisce l’ultimo bilancio, il 78% tace sulla strategia di crescita del gruppo e l’80% non presenta i dati finanziari di base (come fatturato e Ebitda) nelle pagine del sito. Occorre tuttavia sottolineare che, un anno fa, solo il 37% delle aziende aveva pubblicato il proprio bilancio e il 14% presentava una strategia di crescita aziendale.

Le aziende italiane sono ferme anche nella comunicazione indirizzata a chi cerca lavoro (solo il 56% comunica le posizioni aperte) e solo il 30% delle imprese provvede a pubblicare il bilancio di sostenibilità. Un risultato ancora contenuto ma in deciso miglioramento rispetto al 16% di un anno fa.

Se si guarda ad altre voci emerge tuttavia la scarsa propensione a “raccontarsi” da parte delle aziende non quotate: solo il 34% presenta sul suo sito gli investimenti in ricerca e sviluppo mentre un risicato 14% pubblica i propri dati ambientali. In ambito Csr solo il 10% fornisce i contatti delle persone o dello staff dedicato.

Si conferma inoltre deludente il dato relativo alle aziende sinonimo del made in Italy nel mondo: quelle appartenenti ai settori alimentare e moda. Ma, mentre il food, anche grazie alle buone performance di società come Granarolo, ha migliorato il proprio punteggio (22,2%), il settore moda con l’11,1 % si conferma largamente al di sotto della media del resto del campione (pari al 25,9%).