Brexit, anche Confindustria taglia le stime

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Nel secondo trimestre, rileva il Csc, il Pil italiano è cresciuto dello 0,15% contro lo 0,25% previsto

La crescita globale, e quella dell’Italia, sono destinate a rallentare per effetto della Brexit. A confermarlo, dopo la recente analisi del Fondo monetario internazionale, è ora Confindustria, nel suo report “Congiuntura flash” di luglio pubblicato oggi.

La decisione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea è il principale fattore di incertezza, ma non l’unico.

“L’incertezza politica è il tratto distintivo e dominante dell’attuale scenario economico internazionale”, si legge nel rapporto. “Nuovi attacchi terroristici e cruciali appuntamenti elettorali dagli esiti in bilico e dalle conseguenze potenzialmente dirompenti rendono ancora più fragile la crescita globale. La quale a metà del 2016 risulta essere la più debole degli ultimi tre anni e mezzo”.

In alcuni mercati emergenti, come Cina, Russia e Brasile, la crisi si sta attenuando, e dagli Stati uniti arrivano indicazioni positive, sia a livello macroeconomico, sia aziendale, con le trimestrali. Anche l’Eurozona, nel primo semestre, ha proceduto “a ritmi discreti, ma “le attese forti ripercussioni della Brexit hanno spinto a ribassare le previsioni per il resto dell’anno in corso e soprattutto per il prossimo”.

Il Pil dell’Italia nel secondo trimestre del 2016 è cresciuto dello 0,15% contro lo 0,25% stimato, e nel terzo trimestre non sarà molto più vivace.

Un importante fattore di debolezza è rappresentato poi dalle banche. “All’incertezza derivante dalla Brexit si sommano le difficoltà del sistema bancario (non solo in Italia). Fattori che accrescono i rischi al ribasso per l’andamento dell’economia italiana”.

Economia che gode almeno di un fattore positivo, l’aumento dell’occupazione, che “non riguarda più solo le forme contrattuali incentivate: un segnale importante di consolidamento dei progressi avviati ormai da oltre due anni”.

Confindustria sottolinea infine il ruolo delle banche centrali, le cui politiche ultra espansive, “benché ritenute sempre meno efficaci, sono riuscite a far scendere ancora i tassi di interesse a lungo termine”.