Tassi a zero? si punta su liquidità e case

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Secondo l’Indagine sul risparmio degli italiani di Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, migliorano le aspettative delle famiglie. Sempre meno bond e azioni in portafoglio, cresce il risparmio gestito

Un miglioramento delle aspettative economiche; la propensione al risparmio che si stabilizza, anche per ragioni demografiche; il progressivo abbandono dell’investimento diretto in azioni e obbligazioni, a favore dei prodotti del risparmio gestito. Sono alcune delle tendenze di fondo che emergono dall’edizione 2016 dell’indagine, realizzata da Doxa per il Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani.

Al consueto sondaggio, si è affiancato quest’anno un approfondimento dedicato alle scelte di investimento in una fase in cui i tassi di interesse sono bassi e nulli. Un “extra sondaggio” dal quale sono emerse chiaramente le due scelte su cui si orientano gli italiani: da un lato la liquidità del conto corrente, dall’altra l’investimento immobiliare.

Ripresa lenta, migliorano le aspettative
La crisi appare alle spalle, secondo gli italiani intervistati, ma la perdita di reddito disponibile non sembra essere stata completamente recuperata: le spese, nel 2015-2016, restano improntate alla sobrietà.
La quota delle famiglie del campione che dichiarano un reddito insufficiente si è stabilizzata nel 2016 intorno al 17% ma sulle aspettative si registra un effettivo miglioramento. Fino al 2015, il 50% degli intervistati giudicava probabile un peggioramento imminente delle proprie condizioni economiche. Nel 2016 le proporzioni sono ribaltate, e il 60% giudica imminente un miglioramento.

Stabile il risparmio
In otto anni, rileva l’indagine, la quota dei pensionati sul campione è aumentata di oltre il 10%, mentre si è ridotta, in parallelo, quella dei lavoratori. Il cambiamento demografico impatta negativamente sul risparmio. La numerosa generazione dei baby boomer ha cominciato a lasciare il lavoro, qualche volta con pensioni inferiori alle aspettative, e in qualche caso ha perduto l’occupazione senza trovarne un’altra equivalente.

Nel 2016 si è stabilizzata l’incidenza dei risparmiatori (40%) sul campione, mentre si è lievemente ridotta la quota di reddito risparmiata (9,6%).

E cresce la motivazione “precauzionale” del risparmio salita di dieci punti, al 58,3%: un dato che gli economisti spiegano con la debolezza della ripresa, con la volatilità dei mercati finanziari e con l’esiguità dei rendimenti. Aumenta un po’ (da 8 a 8,5%) il risparmio per la casa, superato però dal risparmio fatto per i figli (17,1%).

Ancora poca previdenza
L‘intenzione di risparmiare per la vecchiaia è ferma al 14,1%, nonostante sia diffusa una corretta percezione della riduzione delle prestazioni pensionistiche future rispetto a quelle godute dalle generazioni precedenti: il saldo tra l’attesa di un reddito sufficiente o insufficiente al momento di andare in pensione scende infatti dal 13% al 6,7% (era pari al 29,8% prima della crisi).

Solo l’11% del campione inoltre dichiara di avere sottoscritto qualche forma di previdenza integrativa. La percentuale è in particolare piuttosto bassa tra coloro che si trovano all’inizio della carriera contributiva.

Difendere il capitale
Quando investono, i capifamiglia hanno come priorità assoluta la “sicurezza” di non perdere il capitale (58,3% nel 2016, 52% nel 2015 e appena il 23,8% nel 2011). Solo a seguire vengono il rendimento (15%), la liquidità (14%), e l’apprezzamento del capitale nel lungo termine (7%).

Giù i bond e le azioni, sale il risparmio gestito
Le obbligazioni, e i titoli di Stato in primo luogo, sono il tradizionale investimento degli italiani, ma il quantitative easing della Bce ha cambiato le condizioni: gli acquisti di titoli da parte della banca centrale, a partire da metà del 2015 hanno fatto salire i prezzi dei bond, ma ne hanno fatto scendere i rendimenti, crollati all’1%, o meno, per chi rinnova o acquista nuovi titoli. Si spiega anche così, secondo l’indagine, il netto calo di coloro che investono in questi strumenti, passati dal 21,7% del campione nel 2012 al 14% del 2016.

Aumentano invece le preferenze per gli strumenti del risparmio gestito. Nel corso del 2015 i patrimoni complessivamente gestiti passano da 1,59 miliardi di euro a 1,83 miliardi (Assogestioni). Il 24% degli intervistati dichiara di seguire questa opzione per «poter affidare i propri risparmi a esperti e non pensarci più, semplificandosi la vita»; per il 21,9% degli investitori, con il risparmio gestito si possono avere rendimenti migliori rispetto al «fai da te».

L’incrocio tra la priorità della sicurezza e l’estrema volatilità dei mercati azionari ha accentuato la disaffezione verso il mercato azionario da parte del campione. Solo il 5,3% dichiara di aver comprato e/o venduto azioni negli ultimi cinque anni, una quota che è in declino costante dal 2003, quando era del 31,9%.

Poiché i rendimenti delle attività meno liquide sono quasi a zero, la quota di patrimonio detenuto in forma liquida sul conto corrente bancario è alta. Quasi un intervistato su cinque del campione generale (18,4%) mantiene liquide tutte le proprie disponibilità, il 9,1% più della metà e un altro 9% oltre il 30%.

Investire con i tassi a zero
I tassi di interesse nulli sono una novità per i piccoli risparmiatori, perché si verificano per la prima volta dal 1959: non c’è quindi memoria né esperienza di questo tipo di mercato. La guidance della Bce prevede che il contenimento dei rendimenti duri ancora a lungo. I tassi a zero e minimi riguardano sia i rendimenti degli investimenti (obbligazioni e depositi), sia gli interessi sui mutui e sui prestiti in generale.

A partire da queste considerazioni, nel 2016 Doxa e Centro Einaudi hanno condotto anche un “extra sondaggio” su 567 piccoli investitori, focalizzato sugli impieghi del denaro con i tassi a zero.

Mattone o conto in banca
Il campione ha fornito indicazioni chiare, orientandosi su due scelte: la liquidità (che riguarderebbe il 32% degli investitori) e l’investimento immobiliare (il 29% considererebbe l’acquisto di una casa per sé e il 20% l’acquisto di una casa da dare in affitto). I primi sarebbero mossi dall’intenzione di non perdere né guadagnare denaro con investimenti più rischiosi e dall’aspettativa che i tassi a zero prima o poi finiranno, e quello sarebbe il momento giusto per riprendere a investire. I secondi sarebbero mossi non solo da variabili economiche, ma anche da bisogni rimasti irrisolti o dal desiderio di una casa migliore di quella che si possiede.

A differenziare i due gruppi di investitori, ai poli opposti delle possibili scelte (totale liquidità e totale illiquidità), sono prevalentemente l’aspetto del reddito e il possesso di risparmi accantonati superiori a un anno intero di redditi netti. Questi ultimi sono fattori che aumentano la propensione all’investimento reale.

Solo l’8% del campione di piccoli investitori reagirebbe ai tassi a zero aumentando l’esposizione rischiosa, ossia comprando azioni, cambi e derivati. Il 12% acquisterebbe oro e preziosi e il 4% comprerebbe opere d’arte.

I piccoli investitori si rivolgono alle case anche perché questo è il mercato dei beni di investimento che essi direttamente conoscono meglio, e al quale probabilmente sono più interessati. Ben il 46% degli intervistati dichiara di conoscere il mercato delle case e di informarsi regolarmente sui suoi prezzi.
Dietro al mercato immobiliare si collocano, distanziati, il mercato obbligazionario (che è seguito dal 33% del campione), poi la Borsa (24%) e il mercato dell’oro (19%).

Tra le motivazioni per cui “acquistare un immobile potrebbe essere vantaggioso” primeggiano considerazioni economiche, ossia la convinzione di investire in un “bene di riferimento”, che conserva il suo valore nel tempo (25%), seguito dalla possibilità di “approfittare del momento di prezzi bassi” (17%) e dal fatto che il reddito dell’immobile, ossia l’affitto incassato o risparmiato, è superiore a quanto può offrire la banca o un’obbligazione (13%). Il 19%, inoltre, pensa che i prezzi delle case aumenteranno nei prossimi anni e il 14% mira ad approfittare di buone condizioni sui mutui.

Gli acquirenti potenziali nei prossimi tre anni (che sono compresi tra l’11 e il 19% del campione) userebbero prevalentemente la nuova casa per sé, considerandola come un bene da godere e magari da tramandare ai figli. Una quota fino all’8% del campione potrebbe cambiare casa e prenderla in affitto.

Un freno, secondo il sondaggio, è rappresentato dal timore o di non riuscire a liquidare l’attuale propria casa o di ricavarne un prezzo insufficiente per fare il salto di qualità.

Per quanto riguarda le seconde case, il 9% degli investitori hanno intenzioni di acquisto, e il 74% ha un’opinione positiva del possesso, ma solo il 22% lo considera vantaggioso in termini economici.

Rilevante è poi la quota di investitori propensi a comprare una casa da locare (20%) pur se inferiore a quella degli investitori propensi a comprare una casa da abitare (29%). Gli ostacoli riguardano quasi sempre la selezione degli inquilini, oltre alla questione fiscale.

Abbassare le tasse sulla casa
Il 59% del campione, se potesse chiedere qualcosa al fisco, propenderebbe per un riequilibrio delle imposte tra quelle sulla casa e quelle gravanti sulle altre forme di patrimonio.

Il 14% del campione vorrebbe un abbassamento dell’imposta di registro per case da dare in affitto; il 13% vorrebbe un credito di imposta per vendere e riacquistare una casa, prima o seconda, nel corso dello stesso anno; il 9% vorrebbe dedurre il mutuo sulla seconda casa da dare in affitto; il 6% vorrebbe dedurre il mutuo su una seconda casa da tenere per sé. La propensione all’acquisto di case, concludono i ricercatori, potrebbe essere decisamente più alta di quella dichiarata (tra l’11 e il 19%), se si alleggerisse il peso fiscale sull’investimento immobiliare.