Sostenibilità, ancora un passo indietro dell’Italia

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Tra i paesi Ocse, secondo la classifica di Degroof Petercam, è scesa al 28° posto e resta fuori dall’universo degli stati “investibili”

L’Italia? Un paese in cui non investire. Il giudizio è netto, e viene da Degroof Petercam Asset Management, società di gestione tra le più impegnate, in Europa, nell’approccio sostenibile agli investimenti.

Secondo la nuova classifica della sostenibilità relativa ai paesi Ocse, redatta da Degroof Petercam, l’Italia, che si colloca al 28° posto, non rientra nell’universo dei paesi “investibili”: troppo bassi i parametri del nostro paese, che si trova peraltro in buona compagnia. Anche Stati Uniti, Francia e Giappone, tra gli altri, ottengono un punteggio insufficiente.

La classifica, che viene aggiornata ogni sei mesi, valuta la sostenibilità dei 34 paesi Ocse in base alla media delle posizioni in cinque aree principali: trasparenza e valori democratici, ambiente, istruzione, popolazione, sistema sanitario e distribuzione della ricchezza, economia.
Scopo dell’analisi è definire l’universo di investimento del fondo obbligazionario governativo Sri Dpam Bonds Government Sustainable, dal quale vengono esclusi i paesi che occupano la metà inferiore della classifica.

Il primo posto è occupato dalla Norvegia (sesta nella rilevazione precedente), seguita dalla Svezia (stabile al secondo posto) e dalla Danimarca, che perde la posizione di vetta. L’economia norvegese è ancora dipendente dal petrolio, ma il report premia gli sforzi sul fronte delle energie rinnovabili, anche se il paese mostra ancora importanti margini di miglioramento in tema di efficienza energetica. La Norvegia vanta inoltre istituzioni politiche solide e una sostanziale assenza di ineguaglianze sociali oltre a un reddito pro-capite più alto della media Ocse.

L’Italia ha peggiorato la propria posizione, scendendo di tre posti in classifica. A preoccupare, secondo gli analisti di Degroof Petercam, sono “oltre alla situazione economica, il basso tasso di fertilità e l’indice di dipendenza dagli anziani, l’assenza di investimenti reali in ricerca e sviluppo e la drammaticità dei dati sulla disoccupazione giovanile”.

E mentre si confermano i fattori di criticità relativi alla governance del paese (incidenza della corruzione e solidità delle istituzioni), gli indicatori sociali non stanno mostrando alcun segnale di miglioramento. I dati in tema ambientale non sono confortanti ed emerge uno sforzo limitato anche sul fronte delle energie rinnovabili.

L’Italia, che dal 2007 perde posizioni in classifica, esce perdente anche da un confronto ravvicinato con altre realtà dell’Europa meridionale, quali Spagna, Portogallo e Grecia. Più in dettaglio, nel pilastro “trasparenza e valori democratici” l’Italia perde due punti (“incidenza della corruzione” -2, “solidità delle istituzioni” -1); in quello “istruzione” si registra un calo di 2,5 punti, principalmente per la più bassa qualità del sistema educativo. In negativo anche il punteggio sulla “distribuzione della ricchezza” che ben si combina con un basso coefficiente Gini (grado di diseguaglianza) attribuito al nostro paese dall’Istat.

Tra gli osservati speciali vi sono gli Stati Uniti che, con il 25° posto, guadagnano ben sei posizioni soprattutto grazie ai progressi in tema di innovazione, investimenti in ricerca e sviluppo e nel numero dei brevetti registrati. A mantenerli nella parte bassa della classifica, sono soprattutto i ritardi nel campo della tutela dell’ambiente e del welfare. L’analisi di Degroof Petercam cita il non riconoscimento della Corte di Giustizia Internazionale e la mancata ratifica della Convenzione di Ottawa sulle mine anti-uomo.

Ma l’analisi sottolinea anche come gli Stati Uniti siano tra i maggiori consumatori di carbone mentre le energie rinnovabili rappresentano ancora oggi una porzione troppo piccola del loro mix energetico. I primi passi della presidenza Trump, poi, non lasciano ben sperare, soprattutto in campo ambientale. Difficilmente Trump si impegnerà nel raggiungere gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sulla riduzione dei gas serra. Il programma politico “An American First Energy Plan” prevede un chiaro supporto a un aumento della produzione di carbone, mentre i piani di riduzione delle tasse societarie potrebbero, al contrario, favorire una maggiore trasparenza sulla fiscalità delle imprese statunitensi.