Quando le regole islamiche salvano gli investitori

David Zahra (partner David Zahra & Associates Advocates) -

Le regole stringenti applicate per ammettere le società o i fondi di investimento negli indici islamici proteggono i capitali investiti. Due casi clamorosi del recente passato

I principali punti di forza capaci di suscitare l’interesse dei mercati nei confronti della finanza islamica, sono confermati dai numeri crescenti che lo stesso settore sta realizzando.
Ma come e perché, in concreto, la finanza islamica incontra tanto successo tra gli investitori?

Tra le sue qualità, la più apprezzabile è quella che consente di “vedere’ con occhi più attenti il “futuro”, in termini di attività economica, delle companies che sono quotate sull’indice di riferimento islamico delle Borse, che contiene le società aderenti alle norme della Sharia (la legge islamica), e dei fondi di investimento conformi alla legge religiosa islamica.

Questa “vista” è più acuta rispetto a quella della finanza occidentale. Può cogliere, infatti, dei segnali di allarme che, allo stato attuale, agli occhi dei “normali” operatori di settore sono impercettibili.
Certamente la mancanza di trasparenza ed etica che a volte contraddistingue il sistema finanziario tradizionale non gioca a favore degli investitori non islamici.

Un esempio concreto. Tutti ricordano la crisi finanziaria del recente passato che vide coinvolte alcune multinazionali americane ed europee. Due nomi su tutti: la statunitense World Com e l’italiana Parmalat (qualche tempo dopo).
Worldcom, una grande azienda di telecomunicazioni, fallì a causa della cattiva gestione e di una frode messa a segno a danno della stessa società e degli investitori dall’allora Ceo Bernie Ebbers.

La perdita fu pesantissima ed improvvisa per tutti i risparmiatori e gli investitori con partecipazioni nella multinazionale, ma non per quelli che seguirono alla lettera i dettami (e le indicazioni) della Sharia.

Infatti, circa sei mesi prima del crack, World Com venne rimossa dagli indici finanziari islamici. Non vi erano più, secondo i principi regolatori della Sharia, le condizioni necessarie affinchè la società Usa potesse permanere nell’indice, e che quindi potesse essere proposta agli investitori.

Così gli operatori aderenti ai dettami religiosi furono “costretti” a vendere le loro quote di partecipazione in World Com, oramai non più Halal (cioè pura), anche se la società apparentemente sembrava godere di buona salute.
In sostanza, salvarono tutti i loro capitali proprio grazie a questa operazione.
Lo stesso accadde tempo dopo con Parmalat.

Analizziamo però in maniera approfondita come la “vista” dell’indice islamico sia più acuta di quella del tradizionale indice di Borsa.

Per poter accedere al mercato della finanza Islamica, una compagnia, un fondo di investimento o qualsiasi altro strumento finanziario deve essere sottoposta ad un controllo sulla sua conformità ai dettami della Sharia. Questo controllo viene svolto da un consiglio di saggi chiamato “Sharia Advisory Board”.

Lo stesso Board, con un riconosciuto background di esperienza della Sharia e dei suoi dettami, prenderà in considerazione e analizzerà se effettivamente c’è o meno aderenza ai principi religiosi.
Nel caso questa sia presente, si emettera’ una Fatwa, ossia una dichiarazione con valore religioso ma anche legale, emessa dal Faqih, giurista musulmano, che definisce che quel determinato prodotto è Halal e quindi adatto all’investitore islamico.
Ovviamente questo consiglio di saggi mantiene periodicamente, tramite revisioni e accertamenti, il controllo sull’aderenza o meno ai principi della Sharia delle varie società.