Debito emergente in valuta locale, le opportunità vengono dai Paesi in crisi

Paul McNamara -

Gli emergenti tendono ad essere collegati all’economia globale, ma non in modo diretto e lineare. Tradizionalmente incontrano difficoltà quando i bilanci esterni sono fuori controllo, quindi non è un caso che i paesi di cui si è parlato di più quest’anno – la Turchia e l’Argentina – abbiano registrato i maggiori deficit esterni.

La Turchia ha dei problemi collegati al settore bancario privato molto simili a quelli osservati in Asia nel 1997. Molte banche hanno utilizzato i dollari presi in prestito all’interno del territorio nazionale, portando così a un’espansione molto rapida nel settore immobiliare. La proprietà immobiliare genera entrate in valuta locale che determinano debito in valuta estera. Una volta che c’è un deficit esterno, si crea una corrispondente necessità di valuta estera che non può essere facilmente soddisfatta e ciò porta a una crisi valutaria. In Argentina tutto è riconducibile al governo: l’indebitamento eccessivo ha portato ad un eccesso di importazioni e quindi ad una crisi valutaria.

Più in generale, il bilancio esterno dei ME è passato da circa 5 miliardi di dollari al mese a circa 15 miliardi di dollari al mese. Gran parte di questo peggioramento si è verificato in Asia e in India in particolare. Non si può dire che l’India abbia problemi paragonabili a quelli della Turchia o dell’Argentina, ma a nostro avviso dovrà affrontare una correzione in futuro. Le importazioni sono troppo consistenti per permettere l’accesso alla domanda interna. Del resto, anche gli elevati prezzi del petrolio non aiutano. Ci sono anche problemi nel sistema finanziario non bancario, ma, va ribadito, non crediamo che l’India sia un mercato di crisi.

Al momento, in gran parte della regione, il più importante fattore trainante è rappresentato dal ciclo del credito. Riteniamo che tale ciclo stia arrivando alla fine di una fase di forte crescita, e di conseguenza non si registra alcun ulteriore impulso derivante dall’aumento della crescita del credito. Anche le guerre sui dazi hanno rappresentato un fattore rilevante. Ad oggi non crediamo siano una questione importante in termini macroeconomici; né l’Asia né gli altri Emergenti esportano cifre significative negli Stati Uniti.

Osservando più da vicino la Cina, si può dire che tutto ruoti attorno al credito, con il credito non finanziario del settore privato che ha toccato il 240% del PIL. L’ultimo tentativo di frenare la crescita del credito in Cina sembra essersi concluso in modo analogo agli altri tentativi cui abbiamo assistito in passato, e tutti gli indicatori che monitoriamo segnalano come i prestiti si stiano riprendendo. Prevediamo di iniziare a vedere alcuni effetti (come un rallentamento dell’economia reale) e crediamo che la crescita potrà diventare un problema nel quarto trimestre del 2018 o nel primo trimestre del prossimo anno. A nostro avviso prima o poi la Cina dovrà rallentare in modo abbastanza brusco, ma non ci aspettiamo che ciò avvenga nei prossimi 12 mesi circa.

In termini di opportunità, crediamo che le migliori si riscontrino nei Paesi che hanno attraversato le crisi più dure quest’anno, quindi in realtà siamo molto ottimisti riguardo alla Turchia. La domanda interna è crollata in maniera decisa nel paese: abbiamo osservato un calo del 25% delle importazioni e il Paese ha registrato in agosto la sua seconda eccedenza delle partite correnti degli ultimi 10 anni. Il parallelo con l’Asia nel 1997 è estremamente pertinente. Si è verificata un’importante correzione valutaria, ma, fatto ancora più importante, si sono avuti anche una recessione, un crollo della domanda interna e delle importazioni e il bilancio esterno deve essere riallineato per consentire al paese di risollevarsi. La Turchia non è affatto in una posizione sicura, soprattutto considerando che le decisioni politiche continuano a rivelarsi controverse, ma resta il fatto che si tratta di una grande economia manifatturiera alle porte dell’Europa, quindi le prospettive sono interessanti.

Crediamo inoltre vi siano opportunità tattiche in Brasile e in Argentina. L’Argentina si trova forse tre o quattro mesi indietro rispetto alla Turchia. Ha attraversato una grande svalutazione della moneta e il crollo della domanda interna. Si tratta di un’economia molto meno aperta con esportazioni inferiori. Le esportazioni sono concentrate nel settore della soia, quindi, a meno che il prezzo della soia aumenti, l’Argentina, non ne trarrà grandi benefici.

Per quanto riguarda il Brasile, i mercati stanno osservando con maggiore attenzione la situazione economica del paese in seguito alle elezioni. Il Brasile ha tassi d’interesse reali del 5,5%, il che significa che non può permettersi un disavanzo primario. Deve tenere sotto controllo la spesa, il che richiederà un enorme sforzo a livello politico. Detto questo, alcuni dei nostri team sono piuttosto scettici in merito alla possibilità che in Brasile si possa registrare qualcosa di più di un rimbalzo trainato dal sentiment.

Nel complesso, il fattore trainante principale per le valute dei mercati emergenti, tuttavia, è il dollaro USA. Siamo convinti che fino a quando la crescita degli Stati Uniti continuerà a superare quella del resto del mondo sarà difficile assistere ad un arretramento del dollaro USA. Tuttavia, a nostro avviso, il recente calo delle azioni statunitensi rappresenta un elemento positivo per gli emergenti.


Paul McNamara – direttore degli investimenti per le strategie Local Bond Emerging Markets – GAM Investments