Caracas nella tempesta

Matteo Ramenghi -

Il Venezuela sta vivendo dei veri e propri sconvolgimenti politici, che si accompagnano auna gravissima crisi economica e umanitaria. Il Paese registra un’iper inflazione che sembrava relegata ai libri di storia.

Con i prezzi che raddoppiano su base mensile è difficile trovare statistiche economiche attendibili, ma il sistema produttivo è al collasso e nell’ultimo periodo. il PIL è sceso in media del 10% l’anno. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti hanno, ovviamente, avuto un impatto sull’economia e sugli scambi degli strumenti finanziari emessi da Caracas.

La situazione economica è talmente grave che alcuni osservatori di mercato si sono interrogati sul fatto che la crisi venezuelana potesse innescare una recessione globale. La realtà è, purtroppo, che anni di politiche economiche penalizzanti hanno reso il Venezuela un’economia poco rilevante e isolata a livello globale. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, il Venezuela quest’anno sarà 70° nella classifica del PIL, sotto lo Sri Lanka e l’Etiopia. Inoltre, il perseguimento di una strategia economica autarchica rende le difficoltà meno rilevanti anche per i Paesi limitrofi, con i quali si registrano tra l’altro numerose tensioni.

Senza dubbio, il mercato sul quale il Venezuela può avere maggior impatto è quello dell’energia. La produzione media del Venezuela è stata di 2,7 milioni di barili al giorno già 10 anni fa, per poi ridursi costantemente dal 2015, anche per via delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. La scadente gestione dell’industria petrolifera ha fatto sì chela pro duzione, sulla quale i dati sono divenuti via via meno chiari, sia continuata a diminuire.

In questo contesto e senza cambiamenti politici, è probabile che la produzione continui a calare. In effetti, si tratta di uno dei fattori presi in considerazione dagli analisti che seguono il petrolio in UBS a sostegno della previsione del Brent sopra 70 dollari entro la fine dell’anno. Detto ciò, le esportazioni di petrolio nette del Venezuela rappresentano poco più dello 0,5% del consumo mondiale di petrolio e gas e non crediamo quindi che si tratti di una minaccia tale da far rallentare il PIL globale.

Anche se la crisi politica dovesse tradursi in un cambiamento drastico di governo e in una gestione di PDVSA, la principale società petrolifera del Paese, più orientata al mercato, ci vorrebbero diversi anni per invertire il forte declino della produzione e recuperare i livelli di un decennio fa.

Un aspetto altrettanto preoccupante è quello legato alle ripercussioni internazionali degli eventi politici di Caracas. Il Venezuela ha ricevuto sostegno e finanziamenti da Cina e Russia; al contrario, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno prontamente riconosciuto Guaidó, che si contrappone a Maduro per la leadership del Paese. I prossimi passaggi potrebbero, quindi, creare un ulteriore terreno di scontro tra superpotenze economiche.

La crisi del Venezuela richiede una soluzione, prima di tutto, per ripristinare condizioni di vita più accettabili e consentire al Paese di rimettere in piedi la propria economia, a partire dall’industria petrolifera. In ogni caso, la perdita di peso dell’economia e della produzione petrolifera venezuelana ci fanno pensare che difficilmente potrà essere la miccia per una crisi globale.


Matteo Ramenghi – Chief Investment Officer – UBS WM Italy