Nel turbine della plastic tax, occhio alla transition degli imballaggi

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Il dibattito intorno alla plastic tax in Italia ha monopolizzato la discussione politica degli ultimi mesi. Se Inizialmente sembrava che il peso della tassazione si sarebbe imposto senza possibilità di scampo sull’industria italiana, poi è arrivato l’annuncio di un netto ridimensionamento della normativa: la tassa è stata più che dimezzata (da 1 euro a 45 centesimi per chilogrammo di plastica) e rinviata a luglio 2020. Invece che aiutare, questi sviluppi hanno ulteriormente acceso gli schieramenti pro e contro plastic tax, contrapponendo chi continua a sostenerne l’utilità a chi la vede solo come un peso poco sostenibile su un Paese che cresce già con parecchie difficoltà.

Il concetto di plastic tax non preoccupa soltanto imprenditori e lavoratori dello specifico settore ma anche le aziende che usano questo materiale per l’imballaggio e il trasporto dei prodotti.

Nonostante ciò, vi è anche chi potrebbe beneficiare dall’attuale scenario. In particolare, quelle società che propongono materiali alternativi alla plastica come carta e cartone, vetro, metallo o materiali biodegradabili.

Il settore del packaging sta vivendo una congiuntura positiva: secondo Smithers Pira il ramo degli imballaggi cresce nel mondo ad un tasso annuo del 3,5% e nel 2020 raggiungerà un valore di 900 miliardi di euro. Focalizzandoci sull’Italia, i produttori di imballaggi hanno fatturato più di 33,4 miliardi di euro nel 2018, registrando un +2,6% rispetto al 2017. Per quanto riguarda i materiali utilizzati, il legno ha raggiunto una crescita del 4,5% e il vetro ha guadagnato rispetto all’anno precedente un 2,9%, mentre gli imballaggi in cartone un 2%, e l’acciaio ha visto un incremento dello 0,5%.

Il momento è infatti propizio per chi si dedica alla ricerca di materiali ecosostenibili da integrare nei processi produttivi e di soluzioni che possano aumentare la riciclabilità dei prodotti, come ad esempio l’ecodesign, ovvero la progettazione di prodotti nel rispetto dell’ambiente con l’obiettivo di eliminare potenziali impatti negativi tramite pratiche di riuso, riciclo e utilizzo di rinnovabili. I benefici per l’ambiente sono naturalmente notevoli: si aumenta la quantità di materiale riciclato, diminuendo così la necessità di impiegare materia prima vergine negli imballaggi.

A richiedere imballaggi più sostenibili sono proprio i consumatori finali, molto attenti oggi al packaging in quanto lo ritengono un elemento fondamentale nel processo di acquisto. Grazie a questa consapevolezza, sono in grado di influenzare le strategie commerciali, spingendo le società ad evolversi e quindi ad investire nella cosiddetta “packaging transition”.

In effetti, la domanda di imballaggi sostenibili è in aumento. Si stima che questo settore raggiungerà un valore di circa 440,3 miliardi di dollari entro il 2025, crescendo di circa il 7,7 per cento all’anno, come dimostrato da un’indagine condotta dalla società di ricerche di mercato Research and Markets, secondo cui la domanda dei consumatori sta guidando la crescita del settore.

Guardando alla prospettiva degli investitori, tra le imprese che si stanno muovendo in maniera più efficiente verso una produzione di materiali più sostenibili per i confezionati rintracciamo Smurfit Kappa Group, azienda europea e leader a livello mondiale nell’industria del packaging a base di carta. È attiva in 35 paesi, annovera 350 siti di produzione e 46.000 dipendenti in Europa e nelle Americhe. Ha adottato un modello di business circolare, dall’utilizzo di materie prime 100% riciclabili fino al prodotto finale, progettato in modo da consentire ai suoi clienti di ridurre l’impatto ambientale delle loro attività. Nei primi nove mesi del 2019, il gruppo ha registrato una forte performance, con un EBITDA in crescita dell’11% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 1.257 milioni di euro.

Anche un colosso come Unilever ha la sua storia da raccontare in questo campo: la multinazionale olandese-britannica, titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa, consapevole del proprio impatto in termini di imballaggi, ha deciso di investire già da diversi anni in tecnologie che consentano di rendere il suo packaging più riciclabile grazie a componenti maggiori di materiale riciclato. Questi investimenti sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi ambiziosi e concreti che la società ha annunciato ultimamente: entro il 2025, tutte le confezioni dei prodotti Unilever presenti nel mondo saranno completamente riutilizzabili, riciclabili o compostabili e il 25% degli imballaggi in plastica sarà convertito in materiali riciclati.

È essenziale, a livello di investimenti, andare al di là dei titoli dei giornali e approfondire l’impatto sull’ampio settore di riferimento da parte di misure che fanno rumore come la plastic tax. In quest’ottica, approfondire specifiche storie di investimento permette di indagare al meglio il ruolo giocato dal settore del packaging.

In effetti, è innegabile che questo settore sia uno tra i maggiori produttori di rifiuti, soprattutto negli ultimi anni con la crescita delle vendite online, ma è altrettanto vero che non possiamo evitare l’utilizzo di imballaggi in certi tipi di prodotti. La chiave di volta risiede nella tipologia di materiale da impiegare, più che nell’ambizione di eliminare totalmente la funzione del packaging. Tanto più che esso ha un ruolo fondamentale nel ciclo produttivo, assumendo diverse funzioni come prevenire le rotture, il deterioramento e la contaminazione, descrivere le caratteristiche e i vantaggi del prodotto, i messaggi promozionali e di branding, comunicare informazioni sia sul prodotto che sull’imballaggio stesso, consentire l’aumento della durata di conservazione e la prevenzione degli sprechi.

Alla luce del fatto che non è sempre possibile fare a meno del packaging, diventa ancora più evidente l’importanza che può rivestire questo comparto in una transizione verso modelli più sostenibili.