Titoli di Stato emergenti anche per il 2020

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«Anche dopo le buone performance di quest’anno, i titoli di Stato emergenti continuano a offrire un buon rapporto rischio-rendimento»

Negli ultimi mesi si sono verificate diverse crisi negli emergenti: Argentina, Ecuador, Libano, Zambia e ovviamente Venezuela hanno attraversato difficoltà finanziarie, con balzi degli spread di oltre 10 punti percentuali. Nonostante ciò, nel 2019 le obbligazioni emergenti in valuta forte hanno realizzato ritorni di circa il 12% in aggregato (indice EMBIG in dollari).

La performance di quest’anno può essere attribuita alla combinazione del calo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti e della riduzione degli spread tra emergenti ed economie avanzate. Forse il 2020 non sarà altrettanto generoso: i tassi americani sono già scesi abbondantemente e difficilmente ci saranno cali significativi nei prossimi mesi se l’economia americana, come pensiamo, non soffrirà battute d’arresto. Considerazioni simili valgono per gli spread, che ci aspettiamo rimangano
intorno ai livelli attuali.

D’altra parte, l’elevata diversificazione dell’indice dei titoli di Stato emergenti attenua significativamente eventuali eventinegativi a fronte di rendimenti vicini al 5% in dollari, caratteristiche che collocano queste obbligazioni tra le opportunità più interessanti del momento nell’ambito del reddito fisso.

Nei prossimi anni il PIL delle economie emergenti continuerà a crescere più rapidamente rispetto a quello delle economieavanzate. L’andamento demografico più robusto, la creazione di infrastrutture e l’allargamento della fascia media sono potenti motori di crescita che ritroviamo in tante economie emergenti e che richiamano ciò che portò al «miracolo economico» in Italia e in Europa ormai tanti decenni fa. Questa crescita dovrebbe tradursi in un miglioramento dei fondamentali per tali economie e in una loro maggiore rilevanza negli indici globali.

Il profilo di rischio dei titoli di Stato emergenti è migliorato nel corso degli ultimi anni. Gran parte delle emissioni è ormai denominata in valuta locale, riducendo quindi i rischi sistemici emersi negli anni ’90 per via dell’eccessiva esposizione al dollaro. Anche la composizione degli indici è mutata in meglio: nel corso del 2019 si sono registrate emissioni importantidi Paesi con bilanci pubblici robusti, come il Consiglio di cooperazione del Golfo, che comprende i principali Paesi produttori di petrolio del Golfo Persico a eccezione dell’Iran. Le agenzie di rating confermano questo quadro positivo segnalando un deterioramento del merito creditizio solo per pochi Paesi come Colombia, Messico, Sudafrica,  Turchia e Uruguay.

Questi investimenti sono condizionati direttamente dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina e una soluzione delle controversiesarebbe positiva per i mercati globali e ancor più per gli emergenti. Al di là di accordi tattici, ci aspettiamo però che la rivalità tra queste due potenze continui a tenere banco nei prossimi anni. Per contro, un inasprimento delle tensioni porterebbe probabilmente la Federal Reserve a contemplare politiche monetarie più accomodanti, attenuando l’impatto negativo di nuovi dazi.