Le garanzie del Decreto Liquidità sono potenti, ma possono funzionare solo se si assegnano usando le buone pratiche del FinTech

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Le garanzie su 400 miliardi di euro che il Decreto Liquidità prevede a favore delle PMI e del rilancio dell’economia italiana sono un’ottima notizia. Che però rischia di rimbalzare contro il muro di gomma della burocrazia domestica che permea tutto l’impianto normativo. Con il rischio concreto che i tempi necessari perché la liquidità promessa finisca effettivamente nella cassa delle imprese si dilatino al punto da renderla inutile.

BorsadelCredito.it come pioniere del FinTech in Italia lancia un appello: che a dominare l’arena siano le buone pratiche del nostro settore, in termini di snellezza e velocità dei processi, nel rispetto di tutte le regole di analisi della solvibilità e del controllo del rischio. Il nostro obiettivo è quello di contribuire al dibattito suggerendo le migliori linee di azione perché gli sforzi importanti che il governo sta compiendo in termini di risorse – e i cittadini a loro volta rispettando le restrizioni che li obbligano a casa – non siano vanificati da mere questioni tecniche. Nei provvedimenti attuativi, che sono attesi a stretto giro, speriamo in processi e modalità semplificate che accelerino l’erogazione, evitando che tra le promesse e l’effettivo accesso degli imprenditori alla liquidità trascorrano due mesi, un tempo che è quello normale delle banche e che questa situazione di emergenza rende insostenibile.

Agire sulla digitalizzazione forzando la rottura di paradigmi anacronistici

Come si fa? Agendo innanzitutto sulla digitalizzazione della procedura di attivazione delle garanzie che, allo stato attuale, è del tutto analogica e dunque completamente anacronistica. La PMI ha l’onere di produrre una serie di documenti (bilancio, dichiarazione dei redditi e simili) e presentarli all’intermediario che si fa carico della richiesta alla Pubblica Amministrazione. Peraltro un tale circolo vizioso che costringe l’imprenditore a muoversi tra diversi enti per reperire gli incartamenti necessari è in netto contrasto con le restrizioni di ordine sanitario. Senza considerare che la PA che deve approvare la pratica è di fatto già in possesso degli stessi dati e potrebbe recuperarli comunicando digitalmente con i diversi enti preposti (Inps, strutture camerali).

Una ulteriore complicazione è la richiesta di autocertificazioni. Perché chiedere a una PMI di dimostrare che sta maturando un calo del fatturato di almeno il 25% anno su anno e che si impegni a conservare lo stesso livello occupazionale per i prossimi quindici anni, costringendola alla produzione di dichiarazioni che non aggiungono valore?

Questa crisi senza precedenti nella storia contemporanea è l’occasione in cui è possibile forzare la caduta di paradigmi ormai insostenibili. Anche perché la burocrazia che ruota intorno alla procedura di attivazione delle garanzie comportano una serie di lavorazioni che richiedono tempi lontani da quelle che sono le necessità attuali e rallenteranno l’effettiva erogazione della liquidità.

Le piattaforme di lending escluse

Il Decreto ha anche un altro difetto: estende le garanzie del Fondo di garanzia per le PMI alle aziende fino a 499 dipendenti e ai soggetti che erogano credito ai sensi dell’art. 106 del Tub ma esclude le piattaforme di P2P lending e dunque i finanziatori privati. La garanzia è estesa agli istituzionali, ma mancano incentivi che veicolino investimenti nel mondo degli asset alternativi che di fatto viene sfavorito rispetto a quello tradizionale nei portafogli degli asset manager.

Riteniamo inoltre che l’imposizione di pricing minimi senza fornire copertura cozzi con il modello operativo di banche e SGR che hanno costi di lavorazione da ripagare e che potrebbero da questi limiti essere disincentivati dal prestare alle PMI secondo le regole del Decreto, anche perché non ne sono obbligati in alcun modo. L’aspetto del pricing dovrebbe essere demandato alla contrattazione singola, ma se proprio si vuole introdurre un tasso zero per esempio per i prestiti fino a 25mila euro di questo dovrebbe farsi carico lo Stato. Senza questi aggiustamenti il processo rischia di essere del tutto inefficace.

Il rischio di finanziare anche le sofferenze pre-crisi

Un ulteriore aspetto del Decreto che ci lascia contrariati è la mancanza dell’obbligo di fornire liquidità solo per nuova finanza, ma di fatto offre la possibilità di sistemare posizioni già in sofferenza prima della crisi. Il grandissimo rischio di questa norma è che gli intermediari se ne servano a convenienza per aggiustare i book riducendo la quota di NPE e dunque andando a erogare finanziamenti con questa logica di convenienza, del tutto contraria allo spirito delle garanzie.

Per rispettare lo spirito delle garanzie sarebbe più utile premiare gli intermediari che garantiscono KPI per erogazioni in tempi rapidi e certi. Invece, incredibilmente, non viene fatta alcuna menzione del fatto che la priorità assoluta sia oggi far arrivare il più rapidamente possibile la liquidità garantita alle imprese. Perché la priorità oggi per un professionista, un ristoratore o un produttore di moda, di componenti automotive, non è che dimostri quello che già si sa, ovvero che deve pagare costi indifferibili mentre non sta fatturando per via della chiusura forzata della sua attività, ma avere cassa per coprire quei costi e non esserne travolto. La soluzione è sotto gli occhi di tutti: si chiama digitalizzazione e aver puntato sul fattore della velocità, premiandola, avrebbe accelerato il processo anche per gli intermediari finanziari tradizionali facendo compiere a tutto il sistema un salto in avanti nel futuro. E, per le stesse ragioni, avrebbe accelerato anche la modernizzazione della PA, risolvendo in maniera quasi naturale anche l’annoso tema dell’impossibilità di comunicazione tra i diversi enti pubblici.

Le garanzie che oggi offre lo Stato italiano sui prestiti alle imprese che devono essere rilanciate sono potenti e molto ben calibrate: ora però bisogna trasformarli in soldi veri sui conti di chi lavora. Senza esitare.