COVID-19: gestioni della pandemia a confronto

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Uno studio comparativo sviluppato da PwC Italia ha messo a confronto la condizione attuale della Sanità italiana rispetto alla UE e in particolare ai principali Paesi europei (Francia, Spagna, Germania, Regno Unito), per analizzare la risposta del nostro Paese alla recente emergenza legata al nuovo coronavirus e prevedere i trend che interesseranno il settore con il superamento dell’emergenza.

Lo stato attuale della spesa sanitaria

Secondo i dati raccolti nel report, la spesa sanitaria nel nostro Paese è inferiore rispetto alla media dell’Unione Europea: l’Italia ha infatti destinato alla sanità l’8,8 % del PIL, rispetto media UE del 9,8% (-32% se si considerano i solo Paesi UE-ante95), con la spesa pubblica che pesa il 6,6% del PIL, contro il 7,9% della media UE.

Nel 2018 il valore complessivo della spesa sanitaria (pubblica e privata) è stato pari a 156,381 miliardi di euro. Il finanziamento pubblico (Fondo sanitario nazionale) per il 2020 pre-Covid è stato fissato in 116,474 miliardi di euro (con un aumento di 2 miliardi di euro rispetto al 2019). La spesa sanitaria pro capite, secondo gli ultimi dati del 2017, si è attestata a 2.483 euro, quasi il 15% in meno rispetto alla media dell’UE, pari a 2.884 euro. La spesa privata pro-capite è invece in linea con il resto dell’Unione Europea.

Stando al rapporto annuale della Corte dei Conti dal 2010 il trend degli investimenti pubblici in sanità è in forte decrescita, fino al valore minimo di 1,4 miliardi registrato nel 2017, – 60% rispetto al 2010. Il livello di finanziamento degli investimenti nel 2016/2017 è di molto inferiore a quello degli altri Paesi UE, ovvero corrisponde a circa la metà di quello di Francia e Spagna e a meno di un terzo di quello della Germania. Tuttavia, nel 2019 si è assistito a un cambio di tendenza, con uno stanziamento di 4 miliardi di euro.

Per quanto riguarda invece la composizione della spesa, l’Italia è in linea con il resto dell’Unione e, anzi, spende di più in prevenzione.

Il modello universalistico del SSN italiano è considerato tra i migliori al mondo

IL SSN italiano è un modello universalistico che offre copertura a tutta la popolazione. Garantisce un buon accesso a prestazioni sanitarie di elevata qualità a costi relativamente bassi, sebbene si registrino differenze tra le regioni. Con una speranza di vita alla nascita di 83,1 anni nel 2017, l’Italia si colloca al secondo posto tra i paesi dell’Unione europea dietro alla Spagna, superando di due anni l’aspettativa di vita media dell’UE.

L’analisi dei principali indicatori di qualità ed efficacia dell’assistenza sanitaria mostra che il SSN italiano è tra i migliori nell’evitare le morti premature e presenta uno dei livelli più bassi di cause prevenibili (2° posto) e trattabili (4° posto) di mortalità nell’UE. Il tasso di ricoveri ospedalieri registrati in Italia per malattie croniche quali l’asma, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e il diabete, indicatore dell’efficacia di attività come la prevenzione e le cure primarie, è tra i più bassi dell’UE.

Il notevole aumento della speranza di vita e i bassi tassi di fecondità degli ultimi 20 anni hanno contribuito a un incremento costante della quota di popolazione anziana (di età > 65 anni). Nel 2017, oltre 1 italiano su 5 aveva un’età > 65 anni (22% vs 19% della media UE), rispetto a 1 italiano su 8 nel 1980. In base alle stime, la quota è destinata a salire, sino a raggiungere una proporzione di uno a tre entro il 2050.

A questo si aggiunge che gli anziani, come negli altri principali paesi della UE, soffrono in misura sempre maggiore di malattie croniche e disabilità. Nel 2017, circa la metà degli anziani in Italia ha dichiarato di essere affetto da almeno una malattia cronica.

Rispetto alla pandemia in corso le evidenze indicano che, sebbene chiunque possa essere infettato o possa ammalarsi di COVID-19, gli anziani e coloro che sono affetti da condizioni croniche sono soggetti più esposti ad andare incontro a gravi complicazioni o decesso. Ciò solleva importanti domande sulla vulnerabilità della popolazione europea al nuovo coronavirus, in base alla demografia e alla presenza di altre patologie. La tabella sottostante, che confronta la vulnerabilità dei cinque grandi Paesi della UE in termini di percentuale della popolazione di età superiore a 60, 70 e 80 anni, nonché di prevalenza standardizzata per età di malattie non trasmissibili, malattie respiratorie croniche, malattie cardiovascolari e diabete, mostra effettivamente come l’Italia sia tra i paesi più vulnerabili.

Il numero dei medici è superiore alla media dell’UE, mentre quello degli infermieri è inferiore

Il numero totale dei medici per abitante in Italia è superiore alla media dell’UE (4,0 rispetto al 3,6 per 1000 abitanti nel 2017). Il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e in qualità di medici di famiglia è in calo e oltre la metà (livello più alto della UE) dei medici attivi ha un’età superiore ai 55 anni: tale situazione desta serie preoccupazioni riguardo alla futura potenziale carenza di personale. L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale (ad eccezione della Spagna) e il loro numero è notevolmente inferiore alla media dell’UE (5,8 infermieri per 1 000 abitanti contro gli 8,5 dell’UE)

Il numero di medici di terapia intensiva in Italia oggi è in linea con la media UE, ma è prevista una carenza da qui al 2025

Secondo un recente studio Anaao/Assomed, tra il 2018 e il 2025 degli oltre 100.000 medici specialisti attualmente impiegati nella sanità pubblica ne potrebbero andare in pensione circa la metà – un esodo con potenziali conseguenze negative sulla quantità e qualità dei servizi erogati ai cittadini. Dall’analisi delle curve di pensionamento e dei nuovi specialisti formati nel periodo 2018-2025, è prevista una carenza complessiva di oltre 16.000 medici, di cui in primis medici d’emergenza-urgenza, pediatri, internisti e anestesisti-rianimatori.

Il numero di posti letto ospedalieri si è ridotto come in tutti i Paesi UE

In linea con la tendenza osservata in quasi tutti i paesi dell’UE, tra il 2000 e il 2017 il numero di posti letto ospedalieri per acuti per 1.000 abitanti in Italia è diminuito di circa il 30%, arrivando a 3,2 posti letto per 1.000 abitanti, una cifra inferiore alla media dell’UE (circa 5 per 1000 abitanti). Il numero di posti letto in terapia intensiva pre-Covid, circa 5.100 – pari a 8,6 per 100.000 abitanti (leggermente aumentato negli ultimi anni), è in linea con Spagna e UK. La Francia e soprattutto la Germania hanno una dotazione significativamente più alta.

L’Italia è in ritardo sul fronte della sanità digitale

Secondo uno studio di I-Com, l’Italia si piazza al ventesimo posto nella classifica europea relativa al livello di digitalizzazione dei servizi sanitari, nettamente al di sotto dei principali Stati UE. La classifica si basa su un indice sintetico di undici variabili che sono direttamente o indirettamente correlate allo sviluppo della sanità digitale in Europa.

L’emergenza COVID-19

Quella che stiamo vivendo rappresenta la più grande crisi pandemica da oltre un secolo. Questo anche a causa delle caratteristiche dagli effetti dirompenti del nuovo coronavirus: elevato tasso di riproduzione (2-3 volte superiore a quello dell’influenza stagionale), alto numero di casi asintomatici o con sintomi lievi, periodo di incubazione relativamente lungo, capacità di sopravvivere sulle superfici, fattore che aumenta le possibilità di contatto e contagio.

L’analisi mostra che il numero dei casi confermati da Covid-19 è cresciuto con un ritmo simile nei principali Paesi UE. Lo stesso dicasi per il numero di decessi che, ad eccezione della Germania, hanno avuto un andamento analogo nel continente.

Secondo Andrea Fortuna, Partner Healthcare, Pharmaceuticals & Life Sciences PwC: “Per fronteggiare una pandemia è necessario implementare dapprima misure di contenimento e mitigazione e poi di potenziamento e ottimizzazione della risposta del sistema sanitario. Ovvero, contenere e mitigare la diffusione e il tasso di infezione è la prima priorità, con l’obiettivo di distribuire il numero di infezioni nel tempo, abbassare il picco dei contagi e quindi rendere la risposta del sistema più sostenibile rispetto alle capacità e alle dotazioni disponibili, quali ad esempio personale sanitario, posti letto, apparecchiature e dispositivi di protezione”.

“Tuttavia – aggiunge Fortuna – oltre al contenimento, sono necessarie misure aggiuntive (operative, finanziarie e di ricerca e sviluppo) per fornire un’assistenza efficace ai pazienti e ridurre la pressione sui sistemi sanitari a livelli gestibili, potenziando le strutture a disposizione.”

A questo proposito lo studio di PwC Italia evidenzia che le misure di sensibilizzazione su igiene personale e ambientale e di distanziamento sociale sono state implementate in maniera sostanzialmente omogenea da tutti i Paesi UE. Le limitazioni o le chiusure, introdotte dall’Italia una o due settimane in anticipo, hanno riguardato per tutti i Paesi, con gradi variabili di severità, le imprese, le scuole, i viaggi nazionali e internazionali, gli assembramenti, la ristorazione e gli eventi sportivi.

Anche le misure di potenziamento, volte ad incrementare le risorse finanziarie, professionali e strumentali per far fronte all’emergenza sanitaria, sono state introdotte da tutti i principali Stati del UE senza sostanziali differenze. Tra queste le più significative includono l’approvvigionamento di dispositivi (ad es. procedure di acquisto in urgenza, avvio di produzioni locali, semplificazione della  regolamentazione per uso e immissione in commercio, etc.), l’ottimizzazione dei posti letto (incremento posti letto di terapia intensiva, riconversione posti letto di altre specialità e rinvio degli interventi non urgenti, realizzazione di ospedali-Covid, etc.) e la mobilitazione degli operatori sanitari (abilitazione di studenti di medicina/infermieristica, richiamo di professionisti in pensione, utilizzo di personale militare e volontari, etc.).

Tutti i principali Paesi hanno inoltre introdotto fondi aggiuntivi per la sanità. L’Italia ha incrementato la spesa sanitaria in misura analoga agli altri Paesi di fatto raddoppiando il tasso di crescita dal 1,8% del 2019 a poco meno del 4% di quest’anno.

Lo studio mostra come indipendentemente dalla situazione di partenza, comunque non ininfluente, i fattori critici di successo sono la flessibilità e l’adattabilità nell’uso delle risorse disponibili, insieme alle capacità di pianificazione delle risposte alla crescita della domanda.

Secondo lo studio per il futuro sarà cruciale “migliorare i sistemi di pianificazione e preparazione alle pandemie, oltre ai modelli previsionali, potenziare la prevenzione individuale e collettiva e accelerare lo sviluppo dell’assistenza territoriale e la sua integrazione con i servizi sociali, investire in tecnologia a supporto delle strategie di prevenzione, assistenza e monitoraggio, nonché in formazione del personale per una efficace risposta ad eventuali nuove pandemie”.