Il FinTech? È ancora la scommessa vincente del Venture Capital

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Il Venture Capital continua a puntare sul FinTech. È un segnale della grande opportunità, nell’era post pandemica, di fronte a cui si trovano le startup che hanno contribuito a cambiare la customer experience dei clienti finanziari, traslandola sul canale digitale. È dalla grande crisi finanziaria del 2008 che il settore è tra i più finanziati e in rapida crescita tra le tecnologie emergenti. Un dato che ha fatto sì che si trovasse in una condizione di forza quando il Covid-19 ha reso necessario il distanziamento sociale.

I numeri del Venture Capital

Nel secondo trimestre 2020, nel clou della fase acuta delle misure di contenimento, gli investitori del Venture hanno chiuso 360 deal FinTech: si tratta, come era facilmente immaginabile, del peggior risultato trimestrale degli ultimi tre anni, ma conforta il fatto che i capitali investiti in Nord America e in Europa siano in linea con quelli del primo trimestre a quota 6 miliardi di dollari. Complessivamente il Fintech ha raccolto da VC, PE e M&A 28 miliardi di euro nella prima metà dell’anno, contro i 39 dello stesso periodo del 2019. I dati sono di Picthbook che li raccoglie nel report Emerging Tech Research, indicando innanzitutto che l’industria non ha reagito in maniera uniforme, con segmenti che hanno perso quota e altri che sono crollati. Se il minor potere di acquisto ha un effetto negativo su servizi di pagamento, l’aumento dell’e-commerce favorisce i sistemi di pagamento virtuali; le InsurTech possono avere problemi a raccogliere i premi, ma avranno benefici sul fronte dei prodotti a protezione del rischio pandemico. Il lending, se da un lato soffrirà per il probabile aumento degli Npl, si avvantaggerà delle diverse misure a favore della liquidità.

Rafforzare le collaborazioni con gli incumbent

Insomma, se si attende un rallentamento nell’attività del VC sul FinTech nel 2020, le prospettive di medio termine rimangono interessanti. Sono due i trend trainanti: la raccolta delle società di consumer finance (3,6 miliardi nella prima metà del 2020) e l’attività di exit molto forte con diverse operazioni annunciate tra aprile e giugno per un valore di un miliardo; mentre il maggior ostacolo alla crescita delle startup è, secondo la società di analisi, è la mancanza di una spinta regolatoria verso maggiori partnership con gli incumbent.

Un tema, quest’ultimo, che diventa centrale come spiega un altro studio, sempre di Pitchbook: le FinTech al servizio delle PMI si trovano in un contesto sfidante, perché il lockdown ha causato per molti settori perdite rilevanti, nella ristorazione e nei viaggi, solo per fare due esempi. Ma è altrettanto vero che oggi, al di là dell’effetto a catena sulle FinTech, quelle più solide abbiano l’occasione di rafforzare le relazioni esistenti e, attraverso l’espansione delle collaborazioni con le istituzioni finanziarie tradizionali, conquistare nuovi clienti appena la ripresa economica si manifesterà.

USA come l’Italia: senza tecnologie evolute le banche non funzionano

Non è solo una questione italiana: come abbiamo sperimentato, le nostre banche hanno fatto fatica ad accogliere e processare le richieste arrivate dalle imprese di prestiti garantiti dal Decreto Rilancio. A fine maggio si calcolava che solo la metà di quelli fino a 25mila euro e il 25% di quelli superiori fossero stati erogati. Le banche sono state travolte da un fiume di domande e spesso non avevano gli strumenti per rispondere in tempi e modalità adeguati. Lo stesso è accaduto negli USA con il Paycheck Protection Program (PPP), parte del Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security (CARES) Act, che mirava a dare credito di emergenza alle PMI in difficoltà: “le banche – scrive Pitchbook – non erano preparate ad accettare le domande o erano sommerse da un volume inimmaginabile di esse”. È quanto è successo anche alle big corp come Bank of America, JpMorgan e Wells Fargo, costrette a limitare il servizio solo alle PMI già clienti. Processi tecnologici obsoleti sono alla base di questi ritardi: per esempio nel fare l’analisi del richiedente o nelle verifiche anti riciclaggio. Un sistema come quello di Kabbage, che fa tutto in automatico, e che è stato messo a disposizione delle banche per l’occasione, cambia completamente lo scenario. E se Kabbage è lo standard per il mercato anglosassone, BorsadelCredito.it con la sua tecnologia proprietaria di scoring basata su AI, che rende possibile valutare la solvibilità del richiedente in 24 ore, può essere il modello da seguire nel Mediterraneo.