Implicazioni dell’esplosione del debito globale

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Prima del Covid-19 il debito globale aveva raggiunto un livello senza precedenti. Con la conseguente risposta politica volta a immettere liquidità nella maggior parte dell’economia mondiale, la situazione debitoria è destinata a peggiorare ulteriormente. Esploriamo le implicazioni per i titoli di Stato, le obbligazioni finanziarie e le emissioni societarie, in particolare dal punto di vista degli investitori obbligazionari.

Solo nel primo semestre di quest’anno, le autorità politiche hanno varato o promesso misure di stimolo per oltre 14.000 miliardi di dollari di dollari, pari al 18% del PIL del 2019. Lo stimolo ha assunto la forma di interventi fiscali (9.000 miliardi di dollari) e monetari (5.000 miliardi di dollari), anche se in alcune regioni determinati aspetti di queste misure sono in realtà senza limiti di tempo o di importo.

Gli interventi monetari, come gli stimoli delle banche centrali, e gli interventi fiscali indiretti, come le garanzie statali sui prestiti, non incidono sull’onere debitorio, che viene invece accresciuto dalle misure fiscali e di bilancio dirette, come le sovvenzioni e le indennità di disoccupazione e di congedo. Queste misure superano attualmente i 4.400 miliardi di dollari. Se si considera la crescita dell’indebitamento del settore privato, sia tramite prestiti bancari sia attraverso l’emissione netta di obbligazioni societarie, il debito globale aumenterà di almeno 9.000 miliardi di dollari, pari al 12% del PIL del 2019, per effetto dei provvedimenti presi solamente nei primi sei mesi di quest’anno.

In futuro è probabile che l’azione di stimolo prosegua, sia pur a un ritmo o in forma variabile. Siamo consapevoli che le autorità temono in particolare una trappola deflazionistica. Se i consumatori e le imprese smettono di spendere nella convinzione che i prezzi scenderanno, si crea un pericoloso circolo vizioso da cui è difficile uscire. Non c’è bisogno di ricordare che il Giappone ha passato più di vent’anni a combattere la deflazione con un uso persistente degli stimoli fiscali, che hanno spinto il rapporto debito pubblico/PIL a quasi il 240%.

Con una maggiore azione di stimolo, l’aumento del debito pubblico e privato e il calo del PIL, il rapporto debito globale/PIL è destinato a peggiorare. Tra l’inizio della crisi finanziaria globale nel 2007 e la fine del 2019 questo indicatore è salito di 40 punti, passando dal 280% al 320%.

Quest’anno siamo avviati a raggiungere un livello del 350%, e se dovessimo affrontare un altro grave shock della domanda, come quello derivante da una seconda ondata globale di Covid-19, il rapporto potrebbe avvicinarsi al 400% nel prossimo decennio, a meno che non si prendano provvedimenti drastici per ridurre l’onere debitorio globale.

Implicazioni per i titoli di Stato

Non si registrava una crescita così sostenuta dei disavanzi di bilancio o del rapporto debito pubblico/PIL dai tempi della seconda guerra mondiale. L’attenzione del mercato è attualmente concentrata sulla risposta politica, e finché le banche centrali continueranno ad acquistare ingenti volumi di titoli di Stato attraverso i programmi di quantitative easing (QE) la sostenibilità del debito non sarà messa in discussione. Col tempo, tuttavia, questa supposizione sarà sempre più pericolosa.

Una volta che la situazione si sarà assestata, il rischio paese assumerà una crescente importanza per gli investitori obbligazionari, poiché gli spread delle obbligazioni societarie rifletteranno ulteriormente la sostenibilità del debito sovrano. Può essere difficile stabilire a che punto un emittente sovrano potrebbe sbattere contro un “muro” fiscale, per effetto del quale i mercati non sarebbero più disposti a finanziare un disavanzo.

Quando pensiamo al rischio paese nel segmento investment grade, privilegiamo le nazioni con un margine di manovra nella politica di bilancio e la volontà politica di continuare ad esercitare un’azione di stimolo e ad indebitarsi, come la Germania, i Paesi Bassi e i paesi nordici. Quanto ai paesi con uno stock di debito elevato, cioè superiore al 100% del PIL, preferiamo quelli dotati di banche centrali e valute proprie e in grado di attuare politiche di controllo della curva dei rendimenti, se necessario. In questa categoria vediamo con favore gli Stati Uniti e il Regno Unito rispetto, ad esempio, a Francia e Spagna, che non hanno questa capacità.

Siamo inoltre prudenti sul rischio politico dell’eurozona. Per gestire lo stock del debito italiano servirà una significativa volontà politica a livello europeo, e in futuro potrebbero aumentare gli interrogativi sull’uso del Recovery Fund, sulla condivisione degli oneri e sulla remissione dei debiti. Temiamo che il mercato sia fin troppo pronto ad accettare che questi importanti cambiamenti politici vengano effettuati in modo ragionevole e tempestivo.

Implicazioni per le banche

Dopo la crisi finanziaria globale il settore bancario è stato interessato da un decennio di ri-regolamentazione e deleveraging. Il rapporto tra il capitale primario di classe 1 (Core Tier 1) e attivi ponderati per il rischio, un indicatore chiave della solidità finanziaria di una banca, è aumentato dal 7% al 12,5%. Di conseguenza, alla vigilia della crisi il settore bancario si trovava in una posizione di forza e oggi è considerato parte della soluzione.

Le misure politiche adottate dai governi e dalle autorità di regolamentazione sono volte ad assicurare che il settore finanziario non amplifichi lo shock della pandemia. Tra queste figurano le garanzie statali sui prestiti, i trasferimenti fiscali, le moratorie di pagamento, l’alleggerimento dei requisiti patrimoniali e una liquidità (pressoché) illimitata. Finora queste misure sembrano efficaci. Le garanzie sui prestiti e i pacchetti fiscali determinano la distribuzione delle perdite tra i bilanci del settore pubblico e quelli del comparto bancario.

Ad esempio, i programmi di congedo consentono alle famiglie e alle piccole e medie imprese (PMI) di continuare a servire i propri debiti bancari. Ciò tutela non solo le famiglie, ma anche le aziende e indirettamente le banche, al costo tuttavia di incrementare il debito sovrano in quanto i fondi provengono dal governo. Con i prestiti garantiti dallo Stato, l’istituto di credito eroga il finanziamento, la banca centrale fornisce i fondi e il contribuente assume il rischio di credito.

In questo modo, a differenza della crisi del 2008-09, sia le banche sia le imprese dispongono di sufficiente liquidità e si evita una stretta creditizia. Tuttavia, il settore privato ha contratto ulteriori debiti, e sarà lo Stato in definitiva a farsi carico delle perdite.

Se analizziamo le cifre relative alle banche di cui ci occupiamo a livello globale, prevediamo per gli istituti europei un picco degli oneri da crediti inesigibili simile a quello registrato durante la crisi finanziaria globale, e un livello pari a circa la metà di quello di allora negli Stati Uniti, nonostante la crescita del PIL sia molto più lenta. Nel prossimo anno i due coefficienti di capitale primario dovrebbero diminuire di circa 100 pb in tutto il settore a livello globale, pur restando nel complesso nettamente al di sopra dei requisiti regolamentari.

Anche se all’inizio della crisi da Covid-19 le banche avevano una minore leva finanziaria e si trovano ora in condizioni migliori per affrontare la pandemia, grazie in particolare al forte supporto politico che ha sostenuto i prestiti e tamponato le perdite riconosciute, gli spread creditizi del settore bancario saranno ancora più legati al debito sovrano.

Implicazioni per le obbligazioni societarie

Dalla crisi finanziaria globale l’importo del debito societario in essere è quasi raddoppiato, superando i 74.000 miliardi di dollari) e scavalcando per ammontare il debito pubblico. Uno dei principali motori di questa crescita è rappresentato dalle obbligazioni societarie investment grade (IG), specialmente quelle emesse da società con rating BBB, comprese le imprese protagoniste di una diffusa attività di M&A finanziata con debito.

Prendendo ad esempio gli Stati Uniti, il debito delle imprese non finanziarie in rapporto al PIL è salito a un massimo storico del 75% alla fine del 2019.

Prevediamo un ulteriore aumento di circa 10 punti percentuali nel corso di quest’anno. Nel 2008 le obbligazioni BBB idonee all’inclusione negli indici statunitensi ammontavano al 4% del PIL; nel 2019 quella percentuale era aumentata all’11%, e ci aspettiamo che si porti intorno al 14% entro la fine di quest’anno, in quanto le imprese accumulano liquidità in risposta al calo dei fatturati.

Questo aumento dell’indebitamento influisce sulla solvibilità delle società in cui investiamo. Considerando le imprese non finanziarie con rating IG di cui ci occupiamo a livello globale, negli Stati Uniti ci aspettiamo che il rapporto debito netto/EBITDA superi il 200% entro fine anno, avendo registrato un aumento costante dal 116% nel 2009. Per l’Europa lo stesso rapporto dovrebbe attestarsi al 310% entro la fine del 2020, in rialzo dal 250% nel 2009.

Le aziende dei settori più colpiti dalla pandemia, come ricettività, trasporti ed energia, si sono affrettate a raccogliere fondi. Più in generale, la diminuzione degli utili – dovuta a una ripresa pluriennale che ha provocato cambiamenti strutturali e comportamentali – manterrà elevato il rischio di un declassamento dei rating. È possibile che il rating medio delle obbligazioni societarie IG scenda da A- a BBB+.

Tuttavia, le società di questa categoria non sono di solito in balia della sorte. I team manageriali possono scegliere di riposizionare i bilanci per operare con un grado di leva inferiore. Semmai, il ritmo dell’indebitamento osservato nell’ultimo decennio è semplicemente insostenibile. Se le prospettive di bassa crescita si consolidano, i team manageriali alle prese con livelli significativi di debito saranno sempre più motivati a ridurre la leva finanziaria. Prevediamo che questo processo inizierà l’anno prossimo. Possiamo selezionare le obbligazioni di società impegnate nel deleveraging per assumere un’esposizione a emittenti con bilanci in miglioramento. Tuttavia, una riduzione dell’indebitamento finirebbe probabilmente per perpetuare un regime di bassa crescita, in quanto le aziende taglierebbero gli investimenti nel personale e nell’attività d’impresa.

Implicazioni per la classe di attivi: obbligazioni societarie investment grade

Storicamente, le politiche accomodanti sono state accompagnate da un restringimento degli spread per via della maggiore liquidità nel sistema, e viceversa. Come abbiamo spiegato sopra, le autorità dovrebbero mantenere un orientamento espansivo, creando un contesto tecnico positivo per la domanda di obbligazioni societarie.

Per illustrare questo punto ricordiamo che la Banca centrale europea (BCE) ha fatto ricorso a una politica di tassi d’interesse negativi negli ultimi cinque anni, e una delle conseguenze è che più della metà delle obbligazioni incluse nell’indice Barclays European Aggregate Bond offre attualmente rendimenti sottozero. Inoltre, si stima che negli ultimi mesi (in particolare nel secondo trimestre) la BCE abbia acquistato il 40% delle emissioni nette di obbligazioni del mercato primario nell’ambito del suo QE.

Benché nel breve termine un orientamento accomodante dovrebbe favorire gli investitori creditizi, teniamo a sottolineare che l’efficacia a lungo termine di questa politica non va data per scontata.

Nutriamo qualche dubbio sulla sostenibilità dell’indebitamento sovrano e riconosciamo che le aziende non hanno ancora avviato alcun processo di deleveraging.

Infine, notiamo che gli spread delle obbligazioni IG globali si sono ampiamente normalizzati. Dopo aver inaugurato l’anno a +100 pb, i differenziali hanno toccato un massimo di 340 pb per poi stabilizzarsi a +130 pb. A questi livelli, i detentori di obbligazioni sono ancora compensati per l’esposizione al rischio di liquidità e di default. In un contesto caratterizzato da misure di stimolo e di sostegno, i premi per la liquidità restano elevati, soprattutto alla luce della differenza tra gli spread delle obbligazioni societarie e i premi sui credit default swap. Inoltre, anche i tassi di default impliciti nei differenziali IG sono nettamente superiori alla media storica. Il tasso di default storico cumulato su 5 anni è pari a circa lo 0,9% per l’IG (ossia intorno allo 0,2% annuo). Facciamo tuttavia notare che nel segmento investment grade i default sono decisamente meno frequenti che nell’alto rendimento, in quanto prima di finire in default gli emittenti IG passano alla categoria HY.

I rischi di declassamento non sono mai stati così elevati. Persisteranno anche le insolvenze nel debito corporate speculativo, in particolare tra le società più piccole operanti nei settori più esposti alla crisi. Nell’universo IG, quindi, la generazione di valore dipenderà in misura più significativa dalla selezione dei titoli e degli emittenti. Sarà possibile estrarre valore evitando i candidati al declassamento e puntando sulle società in grado di ridurre il proprio indebitamento.