Tornano i fantasmi del passato …

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… e non solo in Europa. Lo spettro dell’inflazione infatti aleggia anche negli USA. E i timori su tale fronte non sono infondati. Di recente negli Stati Uniti l’inflazione dei prezzi al consumo è salita a oltre il 4%. In base ai TIPS (Treasury inflation-protected securities) i tassi d’inflazione breakeven a 10 anni sono prossimi al 2,7%. Al contempo, nell’Area Euro e nel Regno Unito si registra un aumento delle attese inflazionistiche a 10 anni basate sugli swap, rispettivamente all’1,5% e al 3,75% circa.

In questo contesto i mercati devono anche fare i conti con la politica delle banche centrali. Se da un lato ha senso porre l’accento su effetti base o di carattere straordinario, come il rincaro (con ogni probabilità temporaneo) del petrolio e gli sconvolgimenti alle filiere causati dalla pandemia, dall’altro i timori di un’inflazione persistentemente più elevata non sono ingiustificati. I governi, in particolare l’amministrazione USA e le controparti europee, hanno varato misure di stimolo senza precedenti per far uscire le economie dalla crisi da Covid-19. Presto o tardi è probabile un surriscaldamento della prima economia mondiale. Ben 175 aziende dell’S&P 500 hanno accennato all’inflazione negli ultimi report societari. Sono previsti aumenti e integrazioni salariali. Tuttavia, malgrado tali sviluppi la Federal Reserve USA e la Banca Centrale Europea (BCE) seguono consapevolmente una linea attendista restando “dietro al curva”. In seno alle autorità monetarie sembra regnare ancora la tranquillità, come dimostrato dalla riunione del FOMC della scorsa settimana. Tale atteggiamento in realtà non ispira fiducia, in fin dei conti il rischio inflazionistico è palese. Non si escludono sorprese in negativo, sotto forma di tassi d’inflazione più alti del previsto. La Fed può giustificare l’atteggiamento attuale facendo riferimento alla sua strategia flessibile, ma un rialzo dell’inflazione accrescerà l’urgenza di un intervento sul fronte monetario. E non dimentichiamo i rischi derivanti dall’inflazione dei prezzi degli asset.

La settimana prossima

La prossima settimana saranno pubblicate soprattutto le indagini sul sentiment. Gli osservatori si concentreranno non solo sui segnali di inflazione, ma anche sulle indicazioni circa il sentiment economico nel quadro della normalizzazione dopo la crisi da Covid-19. In particolare, è probabile che l’Eurozona recuperi un po’ di terreno in presenza di stime di consensus sulla crescita nel 2021 ancora piuttosto modeste.

La settimana si aprirà con la pubblicazione del National Activity Index della Fed di Chicago per gli USA (lunedì). Martedì sarà la volta dell’indice ifo sulla fiducia delle imprese in Germania e dell’indice sulla fiducia dei consumatori statunitensi del Conference Board. Dopo la breve pausa di mercoledì, la giornata di giovedì sarà ricca di informazioni: conosceremo infatti l’indice GfK sulla fiducia dei consumatori tedeschi, i dati sulle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione negli USA, le prime stime di crescita del PIL statunitense nel primo trimestre e l’indice per il comparto manifatturiero della Fed di Kansas City. Venerdì saranno resi noti l’indice del sentiment economico per l’Area Euro, i dati sulla spesa al consumo negli USA, l’MNI Chicago PMI e il deflatore PCE (di particolare importanza per la Fed).

In generale, è improbabile che i dati indichino un’inversione delle attese di crescita. Tuttavia, anche le sorprese positive saranno sempre più rare e, nel caso, si concentreranno nell’Area Euro, che ha ancora un margine di ripresa.

Il contesto tecnico è complesso. Di recente diversi indici dei mercati azionari hanno toccato nuovi massimi, ma non è chiaro se il trend rialzista proseguirà in futuro. Nell’ultimo periodo la volatilità, misurata dall’ indice VIX, barometro della paura di Wall Street, è tornata ad aumentare. Il nostro “indicatore dell’ottimismo”, che confronta il P/E prospettico a 12 mesi per l’S&P 500 e la volatilità effettiva, potrebbe evidenziare una flessione. Inoltre, il sentiment degli investitori retail sembra quasi troppo positivo per essere vero. Negli USA la percentuale di “tori” tra gli operatori di mercato è prossima al 50%, un livello visto per l’ultima volta a inizio 2018. In base al Sentix, in tutto il mondo le attese degli investitori sono a livelli record; l’indice ha infatti raggiunto i massimi del millennio. Per quanto la situazione appaia incoraggiante, non dobbiamo dimenticare che le minacce sono sempre dietro l’angolo.

Possiamo solo sperare che lo spettro dell’inflazione svanisca al più presto…