Il CPI negli USA supera il 5%, la Fed può ancora proseguire come se niente fosse?

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Nonostante un altro solido report sull’indice dei prezzi al consumo americano, il rendimento dei Treasury è diminuito nell’ultima settimana, sostenuto dall’idea che le pressioni sui prezzi siano transitorie e che i dati sull’inflazione possano avere ormai raggiunto i massimi. Continuiamo a credere che questa reazione del mercato sia piuttosto compiacente.

I prezzi headline USA sono aumentati del 5% su base annua mentre i prezzi core sono aumentati del 3,8%. Ciò rappresenta l’incremento più importante dell’inflazione registrato dal 1992 – un periodo in cui il rendimento dei bond decennali era superiore al 7,5%.

In parte ciò è dovuto agli aumenti nei prezzi delle auto e dei trasporti, anche se è interessante notare come l’inflazione potrebbe iniziare a influenzare i comportamenti e le aspettative. L’indice Jolts sulle offerte di lavoro negli Stati Uniti ha raggiunto un livello record di 9,3 milioni di posti disponibili – un aumento di 3 milioni rispetto alla fine del 2019, prima dell’arrivo della pandemia.

Dato che i Payroll che si sono mossi ad un ritmo più lento negli ultimi due mesi, si è inclini a pensare che i lavoratori si stiano trattenendo dall’accettare nuove offerte in attesa di salari più alti. Ciò appare essere supportato dai dati sulle retribuzioni orarie e dal fatto che gli ingenti sussidi stanno portando il salario minimo effettivo al di sopra dei $15 all’ora.

Servono ancora 4 milioni di posti di lavoro perché l’economia USA torni alla condizione di piena occupazione, ma le prospettive di crescita rimangono solide. Rimaniamo fiduciosi che l’economia possa continuare a procedere a un ritmo sostenuto nel corso del 2021, dato che alle riaperture post-Covid si aggiungono politiche fiscali e monetarie che rimangono ancora molto accomodanti.

In effetti, stiamo cominciando a chiederci se alcuni membri del FOMC potrebbero sentirsi un po’ a disagio con le dinamiche dell’inflazione alle quali stanno assistendo. Alla riunione del FOMC di marzo, la Fed ha aumentato le sue proiezioni sull’inflazione PCE per fine 2021 dall’1,8% al 2,4%. Tuttavia, un’ulteriore revisione significativa verso il 3% ci sembrerebbe opportuna.

Crediamo che sia ancora troppo presto un cambiamento della linea seguita fino ad ora al meeting della Fed di prossima settimana, ma potrebbero bastare una o due letture solide sull’occupazione perché le discussioni sul taper passino in primo piano.

Continuiamo a pensare che la discussione inizierà seriamente al meeting di Jackson Hole di agosto e che il taper sarà annunciato a settembre. In questo contesto, vediamo prospettive per i rendimenti sbilanciate al rialzo nel corso dell’estate e manteniamo una view corta sulla duration degli USA con un’elevata convinzione.

Europa

Nell’Eurozona, la riunione della BCE di questa settimana si è svolta senza grandi novità, dato che Lagarde ha presentato una narrativa simile a quella della conferenza stampa di aprile.

Rispetto agli Stati Uniti, la risposta di politica fiscale nella zona euro è stata pensata per essere più concentrata nelle fasi successive alla crisi, mentre i ritardi nella campagna vaccinale hanno fatto sì che il Vecchio Continente sia in ritardo nella riduzione delle restrizioni e riapertura delle economie.

Tuttavia, i progressi nella giusta direzione sono tangibili e ci aspettiamo una performance economia più solida per l’Eurozona nella seconda metà del 2021. Ciò è coerente con le previsioni della BCE, che ha aumentato le stime per il 2021 e 2022 sia sulla crescita che sull’inflazione. Date queste premesse, ci aspettiamo che la Banca Centrale deciderà di ridurre il ritmo degli acquisti del PEPP a settembre, nello stesso momento in cui la Fed potrebbe iniziare il taper.

Crediamo che in Europa l’annuncio della riduzione degli acquisti potrebbe coincidere con la decisione di prolungare il PEPP per un certo numero di mesi, in modo da evitare una brusca interruzione a marzo 2022. Crediamo che un’estensione fino a giugno o anche oltre sia probabile, per assicurarsi che il taper sia un processo fluido e graduale, senza bisogno di aumentare le dimensioni del PEPP che sono già state annunciate.

Regno Unito

L’aumento dei contagi nel Regno Unito sembra stia facendo sorgere dubbi alle autorità sulla riduzione delle restrizioni prevista per il 21 giugno, date anche le preoccupazioni sulla variante Delta.

Con oltre l’80% degli adulti in UK che ora possiedono gli anticorpi per il Covid-19, ci si potrebbe chiedere perché il Governo stia tentennando, a meno che non sia giunto alla conclusione che i vaccini non stanno funzionando.

Chiaramente, questo sarebbe uno sviluppo molto preoccupante, ma non sembrano esservi molte prove. Piuttosto, il Governo apparentemente si sta rendendo conto che mantenere un approccio cauto e trasmettere messaggi di paura lo sta favorendo dal punto di vista del supporto politico di cui i Conservatori godono al momento. Sembra che una minoranza significativa sia piuttosto soddisfatta di starsene a casa e ricevere supporto pubblico.

Guardando i libri di storia politica, ci colpisce notare che in passato, quando le società hanno rinunciato alle proprie libertà a favore del potere, si è sempre trattato di un processo molto lento da invertire. Si ha l’impressione che molti governi siano più che felici di avere il potere di controllare la vita quotidiana delle persone, e che le masse proletarie siano troppo spaventate o troppo pigre per reagire.

Al di là di questo, potrebbe esservi troppo ottimismo sulla performance economica relativa del Regno Unito nel 2021.

Ciò potrebbe essere esacerbato dal rischio di una disputa commerciale con l’Unione Europea sulle salsicce e l’implementazione del backstop irlandese. L’accordo della Brexit ha creato un confine nel Mare d’Irlanda e sembrava chiaro fin dall’inizio che ciò avrebbe potuto rinnovare le tensioni nell’area.

Il Governo britannico potrebbe trovarsi nella posizione di dover rischiare violenze nell’Irlanda del Nord per evitare problemi commerciali con l’Unione Europea e concludere un accordo commerciale con gli USA. Westminster darà la colpa del conflitto a Bruxelles, ma in ultima analisi è il Governo britannico che ha siglato l’accordo della Brexit, quindi le accuse andrebbero rivolte all’interno più che all’esterno.

Ad ogni modo, questo rischio potrebbe aumentare durante i mesi estivi e ci ricorda che la Brexit, pur essendo ormai alle nostre spalle, resta un fattore che può pesare sulle prospettive britanniche.

Situazione dei mercati

Guardando altrove, il flusso di notizie è stato relativamente tranquillo. I mercati azionari hanno assistito a un calo degli indicatori di volatilità in una sorta di calma estiva e ciò ha contribuito a far restringere gli spread creditizi, pur senza un particolare slancio direzionale.

I mercati emergenti hanno beneficiato dal calo dei tassi core, con gli indici che stanno recuperando molte delle perdite di inizio anno.

Il forex è rimasto piuttosto tranquillo nelle ultime due settimane, mentre le criptovalute hanno continuato a registrare volatilità nei movimenti dei prezzi, alla luce dei timori di una maggiore sorveglianza e regolamentazione nei prossimi mesi.

Nel frattempo, i mercati delle commodity hanno ricominciato a salire, con il petrolio che ha superato la soglia dei $70 a barile.

La pressione sul legname sembra in calo, anche se le condizioni di domanda e offerta restano tirate in diversi mercati. Ad esempio, la carenza di chip non sembra migliorare, con i produttori a Taiwan che hanno registrato una perdita di produzione per via delle nuove restrizioni contro la pandemia.

Guardando avanti

Crediamo che i numeri elevati sull’inflazione possano rendere il meeting del FOMC di settimana prossima più interessante. Ci si può chiedere quanto ancora il FOMC vorrà portare avanti la narrativa che gli aumenti dei prezzi siano solo transitori, dato che apparentemente potrebbe permettersi di assumere una posizione leggermente meno accomodante, con i Treasury decennali ormai più di 20 punti base al di sotto dei massimi di marzo.

É stato interessante osservare le banche centrali muoversi per ridurre gli acquisti. Dato che anche Yellen ha segnalato l’inflazione e i tassi più elevati questa settimana, non sembra che la Fed abbia molto da guadagnare a rimanere fedele alla retorica attuale. Dopo tutto, se l’approccio della Banca Centrale è quello di essere reattiva e basarsi sui dati, allora diventa difficile ignorare dati fuori controllo solo perché non combaciano con le proprie preferenze.

Nel frattempo, crediamo che altri mercati seguiranno la scia dei rendimenti. Se i tassi restano favorevoli, la volatilità potrebbe diminuire ulteriormente e i trend attuali per gli asset rischiosi potrebbero proseguire nei prossimi due mesi circa.

Tuttavia, se la Fed sorprendesse i mercati con un tono ‘falco’ o se i rendimenti iniziassero ad aumentare autonomamente, ciò potrebbe rappresentare un catalizzatore per una correzione dei mercati. Viceversa, se il meeting del FOMC non portasse particolari novità, sarebbe difficile immaginarsi un altro catalizzatore che possa innescare un movimento significativo dei rendimenti nel resto del mese.

Per ora, sembra che i mercati si accontentino di fidarsi completamente delle banche centrali globali, in un momento in cui i politici invece devono fare i conti con indici di gradimento in calo via via che usciamo dalla pandemia.