Granellini di sabbia negli ingranaggi

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Settembre suona la ritirata per le azioni globali al termine di 7 mesi di rialzo consecutivi. Ce ne dovremmo preoccupare? Nel giro di poche settimane, per molteplici ragioni si è assistito a una riduzione della propensione al rischio degli investitori.

Sul piano della politica monetaria, dopo aver preparato con cautela i mercati, la Fed sta ora vagliando di estinguere progressivamente le sue misure accomodanti. Dovrebbe iniziare col ridurre i suoi acquisti e intervenire poi sui tassi di riferimento. La Banca Centrale Europea sta seguendo le orme della Fed, anche se con una semantica diversa: si parla ora di “ricalibrare” le misure eccezionali legate al Covid. I flussi di acquisto delle banche centrali si prosciugheranno e i mercati l’hanno capito, spingendo – nelle ultime settimane – i tassi a lungo termine al rialzo.

L’inflazione, considerata (troppo?) a lungo temporanea dalle banche centrali, si sta dimostrando più duratura di quanto previsto inizialmente. Il boom delle riaperture ha certamente causato molteplici carenze, aumentato il costo delle materie prime e, talvolta, allungato drasticamente i tempi di approvvigionamento. Ma la durata e l’ampiezza di questi aumenti di prezzo stanno cominciando a causare effetti secondari. Il perdurare dell’inflazione inizia ad influenzare il comportamento degli agenti economici. Le imprese non riescono più ad assorbire l’intero aumento dei costi comprimendo temporaneamente i loro margini, ma iniziano a ribaltarlo sui clienti. Le famiglie infine, di fronte all’aumento dei prezzi di molti beni e servizi nel loro paniere di consumo, cominciano gradualmente a percepirne l’impatto sul potere d’acquisto. Questo fenomeno provoca negoziazioni salariali all’interno di un mercato del lavoro che si sta normalizzando, ma dove alcuni segmenti soffrono degli squilibri ereditati dal Covid.

Dopo il boom delle riaperture, l’attività economica sta gradualmente tornando alla normalità. C’era da aspettarselo. Di contro, non lo era la sua decelerazione. Da diverse settimane ormai, gli economisti e le organizzazioni sovranazionali rivedono al ribasso le loro aspettative di crescita per il 2021 e il 2022. È un altro granellino di sabbia negli ingranaggi che sta un po’ per volta soffocando la propensione al rischio degli investitori.

La situazione politica e geopolitica non è da meno dato il collidere di tre fenomeni. Da un lato, i consensi nazionali emergono con maggiori difficoltà data la fine della crisi sanitaria. Dall’altro, le tensioni geopolitiche sembrano aumentare, in particolare tra le due grandi potenze, gli Stati Uniti e la Cina. Infine, le interferenze degli Stati nel mondo degli affari stanno diventando sempre più forti, guidate da un comune denominatore: la riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche.

Eppure, gli ingranaggi non si sono inceppati del tutto e alcuni di essi sono ancor ben oliati. Il rischio sanitario sta diminuendo, soprattutto nei Paesi con un’elevata copertura vaccinale. Anche se il mercato azionario sta performando a due cifre, le valutazioni delle aziende sono tornate ad attestarsi su livelli più interessanti grazie a una crescita molto forte degli utili.

Il meccanismo borsistico può essere meno fluido ma è ancora lungi dall’essersi bloccato. L’euforia della riapertura sembra davvero alle spalle. In meglio o in peggio?