Transitorio. Ma più a lungo

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La pubblicazione dei dati di inflazione di luglio ed agosto, in particolare della “core”, ha rappresentato due momenti di “sollievo” per gli investitori: i numeri in entrambi i casi sono stati più contenuti delle attese, e in ripiegamento rispetto ai massimi di giugno. I mer­cati hanno celebrato i dati come una conferma della “transitorietà” sbandierata dalla Fed e dunque del mantenimento dello status quo del “lower for longer”. Tuttavia, come un fiume carsico, il tema dell’inflazione è tornato periodicamente, riportato in auge da alcune dichiarazioni, solo apparentemente maldestre, di alcuni membri della Fed. Su tutte, quelle di Quarles e Mester, che hanno segnalato come l’obiettivo del mandato della Fed riguardante l’inflazione potesse ritenersi ormai raggiunto.

Martedì scorso, pochi giorni dopo la pubblicazione dei nuovi “dot plot”, che indicano una maggiore probabilità di aumento dei tassi nel 2022, è arrivato il sigillo di Powell in audizione al Senato: “L’inflazione si manterrà elevata più a lungo di quanto precedente­mente stimato”. Lo spostamento in avanti del concet­to di “transitorio” ha prodotto alcuni riflessi pavloviani a cascata: il decennale treasury è tornato repentina­mente all’1,5%, il dollaro si è rafforzato, l’oro ha cedu­to altro terreno e la volatilità sull’azionario è sensibil­mente aumentata, soprattutto nella sua componente growth. Tale movimento è accentuato dal timore che ad un’inflazione più prolungata si accompagni anche una crescita più stagnante, concretizzando il temuto scenario di “stagflazione”, che porrebbe un serio dilemma di politica monetaria alle Banche Centrali.

In questi giorni i mercati stanno dunque frettolosa­mente prezzando il nuovo scenario. È probabile che questo processo prosegua, almeno nel breve termine, e che i mercati rimangano ipersensibili ai prossimi dati d’inflazione in uscita. Ogni movimento repentino del Treasury, innesca invariabilmente smottamenti sull’azionario, propiziando rotazioni settoriali e possi­bili correzioni. In ragione di questo, è utile mantenere una composizione di portafoglio equilibrata che, accanto a posizioni ad alta crescita, contempli anche la presenza di asset positivamente correlati ad un aumento dell’inflazione, come ad esempio l’azionario ciclico (energia, materie di base, finanziari), le materie prime (petrolio, metalli industriali) o, in ambito bond, le obbligazioni indicizzate. Su un orizzonte di respiro più lungo, sarà invece importante verificare, come evidenziato qualche settimana fa dalla Lagarde, che i fattori transitori di aumento dei prezzi non influenzino la dinamica dei salari, cosa che rischierebbe di rende­re il fenomeno inflattivo meno episodico. In assenza di una tale evoluzione, per adesso non visibile nei dati, riteniamo che il quadro di riferimento di medio termine non si modifichi (cfr. “Bye the dip”, 24 settembre), e che il riassorbimento graduale dei colli di bottiglia esistenti consentirà una strategia di uscita più agevole (e graduale) dalle politiche monetarie ultra-espansive.