USA tra shutdown e default

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Il Congresso degli Stati Uniti ha temporaneamente esteso i finanziamenti governativi al 3 dicembre, evitando per ora uno shutdown. Nel frattempo, incombe una minaccia più grande: aumentare il tetto del debito federale entro metà ottobre o rischiare un default. Questi eventi sono già accaduti in passato, con impatti limitati sul mercato. Ma l’agenda politica è particolarmente fitta in questo momento. Essa include, infatti, la manovra sulle infrastrutture da un trilione di dollari, 3,5 trilioni di dollari di legge di spesa e la decisione sulla nomina del presidente della Fed. I mercati odiano l’incertezza: gli errori politici non possono essere esclusi e tutto questo contribuisce alla recente debolezza del mercato.

Intanto, il Tesoro degli Stati Uniti ha avvertito il Congresso che il governo non sarà più in grado di pagare i suoi conti più o meno a partire dal 18 ottobre salvo che il tetto del debito federale degli Stati Uniti non venga aumentato di 28,4 trilioni di dollari. Ciò potrebbe portare gli Stati Uniti temporaneamente in default su alcuni pagamenti di interessi, un rischio significativo di credibilità per il mercato obbligazionario statunitense da 46 trilioni di dollari e per i bassi costi del debito del Paese.

Gli shutdown del governo sono episodi che si verificano con una certa regolarità a causa dei ritardi con cui il Congresso approva la spesa discrezionale che rappresenta un terzo del bilancio federale degli Stati Uniti. Abbiamo assistito a ben 22 shutdown negli ultimi 45 anni, l’ultimo dei quali è stato il più lungo. Data la loro natura temporanea, comunque, il loro impatto sull’azionario (cfr. grafico) e sul PIL è stato sempre limitato, anche se negli anni si è assistito ad episodi di volatilità. In particolare, nel 2011, quando gli Stati Uniti hanno perso il rating obbligazionario AAA da parte dell’agenzia S&P e le azioni sono scese bruscamente. Nonostante tutto, pensiamo che alla fine ogni tesserà andrà al suo posto e che ci sarà una reazione dei mercati.