Stagflazione?

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Il calo di produzione e l’aumento dei costi di materie prime, energia e logistica stanno smorzando la crescita economica e potrebbero portare a un aumento dei fallimenti tra le aziende con utili bassi. Anche i mercati emergenti come l’India e la Cambogia stanno soffrendo sempre più per la carenza di energia e per i drammatici aumenti dei prezzi. Più del 50% della produzione di energia si basa sul carbone, il cui prezzo è salito alle stelle. Lo sviluppo di nuovi giacimenti richiede molto tempo ed è politicamente indesiderabile. Le riserve sono esaurite e, oltre a colpire l’economia i quest’area, le previste carenze di energia potrebbero inasprire i problemi della catena di approvvigionamento globale.

Fino a che punto questi cali di produzione possono essere compensati da prezzi più alti, dipende dalla struttura dell’economia. Gli esportatori netti di energia e materie prime (come la Russia) sono attualmente in vantaggio sugli importatori netti (come la Germania). E anche la Cina, affamata di energia e materie prime, vedrà probabilmente un calo della crescita. Settembre ha visto il primo calo dell’attività manifatturiera dall’inizio della pandemia, a causa dei cali di produzione causati dalla carenza di elettricità in molte parti del paese.

Ci sono inoltre segnali di crisi nel mercato immobiliare cinese, dove le difficoltà del maggiore sviluppatore immobiliare cinese, Evergrande, stanno causando tensioni. L’azienda ha oltre 250 miliardi di euro di passività, di cui circa il 30% è costituito da obbligazioni e prestiti bancari. La quota maggiore è costituita dai debiti verso clienti e fornitori, cioè imprese di costruzione. Un collasso della società non colpirebbe quindi solo gli azionisti, gli obbligazionisti e le banche che hanno erogato finanziamenti, ma anche gli acquirenti di immobili e i fornitori. La situazione potrebbe diventare particolarmente precaria qualora i prezzi degli immobili dovessero crollare in modo generalizzato, mettendo in difficoltà altre società immobiliari. Data la grande importanza del settore immobiliare, che secondo i calcoli degli economisti Kenneth Rogoff e Yuanchen Yang contribuisce al 29% della produzione economica cinese, e i beni immobiliari che rappresentano circa due terzi del patrimonio totale delle famiglie, un crollo dei prezzi avrebbe gravi conseguenze per l’economia cinese.

La crisi, tuttavia, rivela anche la debolezza strutturale dell’economia cinese. Gli investimenti finanziati dal credito in torri residenziali improduttive hanno causato una forte crescita del debito delle famiglie private e hanno gonfiato i bilanci delle banche. Dalla crisi finanziaria del 2008, il debito totale (famiglie private, aziende, governo) è cresciuto molto più velocemente del tasso di crescita dell’economia.

Data la forte crescita negli Stati Uniti, tuttavia, sarebbe prematuro parlare di “stagflazione” globale. Questo termine, coniato negli anni Settanta, descrive la combinazione simultanea di una produzione economica in calo o stagnante e di un aumento dei prezzi. All’epoca, un embargo petrolifero da parte degli esportatori arabi fece aumentare il prezzo del petrolio da 3 a 12 dollari in un anno. L’inflazione salì al 12% negli Stati Uniti nel 1974, mentre la crescita reale fu -0,5% e rimase sotto zero nel 1975.

Anche se la situazione attuale non è paragonabile a quella degli anni Settanta, un nuovo regime d’inflazione potrebbe affermarsi se la spinta inflazionistica proseguisse più a lungo e portasse ad aspettative d’inflazione più alte.

I cosiddetti effetti secondari, in particolare le richieste salariali più elevate nella futura contrattazione collettiva, giocheranno un ruolo in questo processo. Anche se la spinta inflazionistica si fosse già ridimensionata per allora, i sindacati non dimenticheranno la crescita dell’inflazione di quest’anno, ma chiederanno probabilmente una compensazione extra.  Questo aumenterebbe la base dell’inflazione.

Ci sono anche fattori strutturali che probabilmente porteranno un’inflazione più elevata nel lungo termine: deglobalizzazione, decarbonizzazione e demografia.

  • Deglobalizzazione: i problemi della catena di approvvigionamento stanno inducendo le aziende a distribuire i loro impianti di produzione in modo più ampio e in alcuni casi a rinazionalizzarli. Tuttavia, scegliere la resilienza invece dell’efficienza aumenta anche i costi.
  • Decarbonizzazione: la protezione del clima non è priva di costi, in termini politici. Oltre ad aumentare significativamente i prezzi della CO2, che avranno un effetto diretto sui portafogli dei consumatori (elettricità, benzina, gas naturale), la transizione energetica aumenterà anche i costi di produzione, il che porterà indirettamente a un aumento dei prezzi al consumo.
  • Demografia: i Baby Boomers andranno in pensione nei prossimi anni, aggravando ulteriormente la carenza di lavoratori qualificati. Questo farà aumentare il costo del lavoro. Un numero crescente di persone anziane che non lavorano più incrementerà i costi delle assicurazioni sanitarie e pensionistiche, e di conseguenza il costo del lavoro.