Lo scenario dei reati “white collars”

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L’espressione white collars (“crimini dei colletti bianchi”) definisce un tipo di crimine non violento, commesso da un soggetto rispettabile, di elevata condizione sociale, durante l’espletamento della propria attività lavorativa, e spesso ispirato da un movente economico. Il termine inglese deriva proprio dal capo di abbigliamento tipico dell’ambiente di lavoro di queste persone di status privilegiato: la camicia bianca, il cui candore rimanda alla condotta non violenta di questi delitti volti principalmente ad un ingiusto arricchimento. Tra questi ci sono una molteplicità di figure, come medici, magistrati, insegnanti, impiegati, manager d’azienda, dirigenti e funzionari pubblici, ma anche leader della politica e dell’economia che colpiscono una o più delle seguenti categorie di vittime: consumatori, concorrenti, azionisti e altri investitori, inventori, dipendenti o lo Stato stesso, leso dalle frodi fiscali e dalle corruzioni dei pubblici funzionari.

Poiché questi reati sono spesso non percepiti, sottovalutati o impuniti, è difficile reperire dati puntuali sui quali poter tracciare il grado di corruzione di un determinato Paese, e quindi anche definire se l’Italia sia più o meno soggetta a questi reati rispetto al resto dell’Europa. Le statistiche, infatti, sono basate sulla cosiddetta “corruzione percepita”, ovvero su numeri che dimostrano quanto un Paese sia impegnato a contrastare tale fenomeno. Ovviamente, questo metodo penalizza quei Paesi che ne fanno oggetto di dibattito pubblico rispetto a quelli che tentano di occultarlo.

 

 

I dati emersi dal Global Corruption Index (GCI), l’indice elaborato da Global Risk Profile (GRP) e giunto alla sua quarta edizione, mostrano l’analisi dello stato della corruzione e di altri crimini white collars, quali il riciclaggio di denaro e le problematiche di finanziamento del terrorismo, nei vari paesi del mondo.