Analisi di resilienza di alcune regioni d’Italia

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L’Italia, come altri paesi europei, ha recentemente lanciato un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il piano è finanziato dall’UE nell’ambito dell’iniziativa NGEU – Next Generation EU – e la quota italiana corrisponde a 191,5 miliardi di euro, da spendere nel periodo 2021 – 2026. L’obiettivo dell’iniziativa è rendere le economie europee più resilienti, quindi più sostenibili.

Sorprendentemente, il PNRR italiano parla di resilienza ma non lo fa in termini quantitativi. In altre parole, non vi è alcuna menzione di quale sia l’attuale resilienza del paese e a quale livello essa debba essere aumentata una volta completato il piano quinquennale. Evidentemente, se la resilienza non viene misurata e monitorata, sarà difficile verificare se la spesa dei fondi è andata nella giusta direzione e se il piano stesso ha avuto successo. L’obiettivo non è quello di spendere ingenti somme di denaro in auto elettriche o nelle cosiddette energie ‘rinnovabili’, ma di rendere il Paese più resiliente, cioè meglio preparato ad affrontare ogni sorta di eventi destabilizzanti e rischi sistemici.

Il presente articolo è il primo di una serie in cui diverse regioni d’Italia saranno analizzate da diversi aspetti, come l’energia, i trasporti, l’istruzione o la sanità. La fonte dei dati per tutte le analisi è l’ISTAT, l’Istituto Nazionale di Statistica (https://www.istat.it/). Le analisi sono intenzionalmente molto semplici, abbracciando solo un aspetto di una determinata regione alla volta. L’obiettivo è solo quello di fornire un assaggio di come un’analisi di resilienza possa essere effettuata e quali risultati è in grado di fornire.

L’Italia è composta da 20 regioni. Le regioni settentrionali, come la Lombardia o il Veneto, sono altamente industrializzate. In questo primo ciclo di analisi, eseguiamo un confronto tra varie regioni in base a:

  • Contesto economico (Lombardia, Lazio, Toscana, Calabria e Friuli Venezia Giulia)
  • Competitività (Lombardia, Veneto, Lazio, Italia)

Dal punto di vista del contesto economico, La resilienza delle cinque regioni è (2020):

 

 

È evidente come la Lombardia abbia subito la più bassa perdita di resilienza rispetto al 2010, mentre Calabria e Lazio la più alta. Uno dei risultati di un’analisi di resilienza è il Profilo di Resilienza – una suddivisione della resilienza nelle sue componenti. Un esempio, relativo al Friuli Venezia Giulia, è illustrato di seguito.

 

 

Un ulteriore risultato di un’analisi di resilienza è la Mappa di Resilienza, che illustra le interdipendenze tra i parametri che sono stati adottati per l’analisi stessa. Un esempio è mostrato di seguito e corrisponde alla Toscana.

 

 

La dimensione dei nodi sulla diagonale della mappa è proporzionale all’impatto di ciascun nodo sulla resilienza della regione corrispondente.

L’analisi dei dati relativi alla competitività getta altra luce sulla resilienza di una regione.

 


Viene mostrato il profilo di resilienza del Veneto.

 

 

I risultati di cui sopra sono evidentemente frutto delle politiche sia dei governi regionali che di quello centrale. Sulla base dei dati del contesto economico, tutte le regioni stanno perdendo resilienza. Dal punto di vista della competitività, ad eccezione della Lombardia, sia il Lazio che il Veneto stanno diventando leggermente meno resilienti ma l’Italia, nel suo complesso, ha perso l’8% di resilienza rispetto al decennio precedente. Questo non è un buon segno.

Le analisi illustrano come la tendenza generale sia una riduzione della resilienza. Chiaramente, le analisi sono molto semplici, in quanto sono stati presi in considerazione solo due aspetti (contesto economico e competitività) di un problema molto più ampio. Tuttavia, sono significativi e indicativi di un trend che, con ogni probabilità, sarà confermato nel contesto di un’analisi più ampia.

Ci sono due conclusioni principali che si possono trarre da questo esercizio. In primo luogo, un’analisi della resilienza fornisce risultati che possono essere utilizzati per guidare, o almeno correggere, le politiche e le iniziative delle amministrazioni regionali e del governo centrale. Questo, ovviamente, se l’obiettivo è veramente quello di aumentare la resilienza.

Il secondo risultato, più allarmante, è il fatto che la resilienza stia diminuendo mentre il PNRR manca di un approccio quantitativo alla gestione, guarda caso, della resilienza. Non c’è diagnosi, non ci sono obiettivi. La resilienza è l’obiettivo ma solo a parole.  Pare che nessuno sia interessato a sapere quant’è la resilienza del nostro Paese oggi e quanto dovrebbe essere dopo che i 191,5 miliardi di euro siano stati spesi. Ciò che sorprende ancor di più è che l’Unione Europea, avendo messo a disposizione una somma di denaro così enorme, non sembri preoccupata per il risultato dell’investimento. Sembra che la resilienza non sia affatto l’obiettivo. Anzi, sembra che l’obiettivo sia quello di aumentare il debito dell’Italia (e di altri stati membri dell’EU) e di spendere immense quantità di denaro dietro una facciata di una parola di fantasia – resilienza.

Le nostre analisi degli indicatori di sviluppo, pubblicati annualmente dalla Banca Mondiale, mostrano come la resilienza del mondo intero si stia abbassando. In effetti, negli ultimi cinquant’anni la resilienza del mondo è passata da circa 85% al 70%. L’Italia, così come tutti gli altri paesi, fanno parte di una fortemente interdipendente economia globale e quindi questa tendenza interessa a tutti. Un abbassamento della resilienza significa, fondamentalmente, due cose: incremento della fragilità (vulnerabilità) e progressiva perdita di governabilità. In sostanza, se si continua su questa strada, ci si troverà, nel giro di due o tre decenni, con una situazione non sostenibile e difficilmente recuperabile. Sistemi estremamente complessi – pensiamo all’economia o finanza globale – non possono essere gestiti e governati a parole e, avendo come arma, la speranza. Bisogna affidarsi alla scienza, non alle opinioni.