Quando le colombe soffrono
Le luci di Natale scintillano e si va diffondendo l’atmosfera tipica di questo periodo festivo, ma due rischi sembrano rovinare il clima nei mercati finanziari.
Innanzitutto la comparsa della variante omicron del Covid-19, che ha acuito l’incertezza circa gli effetti della pandemia sull’economia globale. Le potenziali ripercussioni negative della nuova variante potrebbero manifestarsi soprattutto nel primo trimestre 2022. In ogni caso, dobbiamo tenere a mente che la resilienza dell’economia agli alti tassi di infezione nel corso del tempo è aumentata.
In secondo luogo la modifica dei toni di diverse banche centrali, compresa la Federal Reserve USA, che, alla luce delle costanti pressioni sui prezzi, parlano sempre meno di accelerazione “transitoria” o “persistentemente transitoria” dell’inflazione. Di conseguenza, al fine di contrastare i rischi inflazionistici a medio termine, si valutauna più rapida inversione di rotta sul fronte monetario, in favore di politiche meno accomodanti. Un inasprimento anticipato e/o più rapido potrebbe far soffrire una o più “colombe” della politica monetaria.
In effetti, la frase “Quando le colombe soffrono” sembra perfetto per questa settimana in cui le banche centrali hanno fornito indicazioni importanti. Negli USA, la Fed ha accelerato il processo di tapering spianando la strada ad un inasprimento anticipato dei tassi il prossimo anno. Malgrado l’inflazione elevata nell’Area Euro, la Banca Centrale Europea (BCE) ha confermato l’intenzione di interrompere il Piano di acquisti per l’emergenza pandemica (PEPP) a fine marzo 2022. La BCE comunque rientra tuttora tra le “colombe”, e mantiene una flessibilità elevata al fine di garantire condizioni di finanziamento favorevoli in previsione di rischi di ribasso a breve per l’economia dell’Eurozona.
Sinora il 2021 è stato un anno favorevole per gli asset rischiosi come le azioni. Tuttavia, come prevedibile, questi due rischi pesano sulla propensione al rischio degli investitori professionali a livello globale (che comunque si attestava a livelli elevati) nell’ultima parte dell’anno. A inizio settimana l’Indagine sui gestori globali di Bank of America ha confermato questo trend. Gli investitori sono tuttora ottimisti circa le prospettive di crescita e utili per il 2022, ma ritengono che una politica monetaria più restrittiva rappresenti il rischio principale. Di conseguenza, appena il 55% dei partecipanti all’indagine considera l’aumento dell’inflazione un fenomeno temporaneo (-6% rispetto a ottobre).
La settimana prossima.
La settimana che precede il Natale potrebbe rivelarsi relativamente tranquilla, almeno in termini di pubblicazione di dati.
Nelle ultime settimane gli indicatori economici erano in linea con una stabilizzazione della crescita globale. Dopo un terzo trimestre deludente, l’economia USA (la prima al mondo) ha ripreso slancio. I consumi privati, cui sono ascrivibili circa due terzi del PIL statunitense, beneficiano tuttora del sostegno offerto da un mercato del lavoro solido. A tal proposito, i dati su spesa e reddito personali, nonché sulle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, saranno resi noti giovedì. In controtendenza rispetto all’Europa, dove i timori circa l’aumento dei contagi da Covid-19 e le nuove restrizioni hanno già eroso il sentiment dei consumatori (la pubblicazione dell’indice è attesa martedì), negli USA la fiducia dei consumatori dovrebbe confermarsi solida (conosceremo i dati mercoledì). In generale, malgrado le maggiori incertezze sul fronte pandemico, continuiamo a prevedere una crescita più lenta ma comunque superiore al potenziale il prossimo anno. La rotazione regionale dovrebbe proseguire.
Un’altra questione rilevante sarà quella dell’inflazione. Con ogni probabilità, dai dati sulle vendite di abitazioni nuove ed esistenti (attesi rispettivamente mercoledì e giovedì) trasparirà ancora un prossimo surriscaldamento del mercato residenziale USA. Nelle ultime settimane è apparso sempre più chiaro che i canoni di affitto influiscono sull’inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti. Alla luce della divergenza delle politiche monetarie sulle due sponde dell’Atlantico, nel breve periodo non si esclude una certa forza dell’USD.
Sebbene numerose banche centrali abbiano avviato la chiusura dei piani di emergenza varati allo scoppio della pandemia, la Bank of Japan conferma la sua politica monetaria espansiva. In Giappone l’inflazione è salita sopra lo zero, soprattutto in seguito all’impennata dei prezzi dell’energia (il dato sarà reso noto venerdì), ma le pressioni sottostanti sui prezzi si confermano modeste nonostante le strozzature sul fronte dell’offerta a livello mondiale. La ripresa economica è stata troppo debole (il PIL infatti si è contratto in cinque degli scorsi otto trimestri) e per ora non si registra alcuna accelerazione della crescita salariale.