The Big Quit

-

Negli Stati Uniti il mercato del lavoro è interessato da un fenomeno inedito, già battezzato con il nome di“The Great Resignation” ovvero “le grandi dimissioni”. Designa la nuova propensione dei lavoratori a lasciare il posto di lavoro per cercarne un altro o semplicemente per abbandonare il mercato del lavoro. Il Covid con i suoi lockdown e misure restrittive ha sovvertito il modo di vivere di molti americani. Si stima che dalla primavera scorsa si siano dimessi oltre 20 milioni di lavoratori.

Mentre nel 2010 il flusso delle dimissioni oltre-Atlantico non superava i due milioni al mese, oggi sfiora la cifra di 4,5 milioni di lavoratori. Non sorprende che siano i settori scarsamente remunerati e con orari non canonici a essere investiti in pieno da questa ondata: trasporti, ristorazione, hotel battono tutti i record. Stando ai dati aggiornati, a settembre si è dimesso il 7% circa dei lavoratori del settore della ristorazione (dati US Bureau of Labor Statistics).

La forza della ripresa lascia quindi molti posti di lavoro vacanti, costringendo i datori di lavoro ad aumentare i salari per attirare lavoratori. Infatti è proprio nel quartile dei salari più bassi che si sono verificati gli aumenti più significativi negli Stati Uniti.

Mentre il salario federale minimo è di 7,25 dollari l’ora, con la promessa del Presidente Biden di portarlo a 15 dollari per tutti i settori entro il 2025, le aziende sono già corse ai ripari: la catena di negozi Target, i ristoranti Chipotle, le farmacie CVS pagano ormai più di 15 dollari l’ora. Amazon propone 18-21 dollari l’ora ai neoassunti, dai 150.000 stagionali ingaggiati per coprire il periodo delle feste di fine anno ai dipendenti a contratto indeterminato.

Inoltre il vigore dei mercati finanziari, portati alle stelle dalla ripresa economica e dalle misure di sostegno monetario e di bilancio senza precedenti, ha spinto molti più dipendenti ad andare in pensione. Secondo una recente ricerca della Fed di St. Louis (fonte: The COVID Retirement Boom, novembre 2021), dallo scoppio della pandemia si è verificata un’indubbia accelerazione dei pensionamenti: mentre i modelli prevedevano una quota di pensionamenti pari al 18% della popolazione americana nel 2021, ad agosto è andato in pensione il 19,3% dei lavoratori, un dato di gran lunga superiore al 15,5% che era la norma tra il 1995-2008, quindi 2,4 milioni di pensionati in più “non previsti”.

Se da un lato questo fenomeno interessa anche la Cina, dall’altro la situazione si presenta in maniera diversa in Europa, dove si assiste a una massiccia ripresa del mercato del lavoro con tassi di occupazione inediti in alcuni Paesi. In Francia, l’occupazione nella fascia 15-64 anni ha superato quota 67% nel terzo trimestre 2021, un record dal 1975 (INSEE, ricerca n. 295, 19.11.2021) e un buon auspicio per il tasso di disoccupazione del Paese.

Tuttavia, questa dinamica potrebbe cambiare. Uno studio rivela che le piattaforme di e-commerce, di creazione di contenuti o di trading sono una fonte di reddito per il 36% degli europei. Come dire che le giovani generazioni, millennial in testa, potrebbero distogliersi dal lavoro dipendente e dagli Hard Day’s nights che cantavano i Beatles. Per creare nuove forme di lavoro ibride? Sarà il futuro a dirlo.

Nel frattempo, con questi movimenti tutt’altro che stabilizzati e in parte probabilmente transitori, gli investitori potrebbero essere spinti a interessarsi a due tipologie di aziende: quelle che possono aumentare i prezzi preservando i margini in un contesto di aumento delle retribuzioni e quelle che hanno un effettivo potere di fidelizzare e attrarre professionalità e competenze.