Ue, nel 2022 l’occasione per avvicinarsi all’Unione fiscale

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L’Unione europea ha vissuto una profonda recessione durante la pandemia, che però è stata anche l’occasione per dimostrarsi capace di intraprendere un’azione forte e concertata e di riprendersi.

In effetti, la pandemia ha gettato le basi perché la Ue lavori in un modo nuovo, con l’emissione di debito comune e trasferimenti di fondi tra gli Stati membri.

Sebbene non costituisca una vera e propria unione fiscale, questa iniziativa collettiva si affianca agli interventi su base nazionale e apre la strada a ulteriori riforme. La zona euro è a una svolta: se esistesse una chiara volontà politica, i principi delle sue azioni potrebbero essere ridefiniti a favore di un disegno più inclusivo.

I leader europei dovranno affrontare importanti questioni fiscali nel 2022. Per consentire la lotta alla pandemia, le regole di Maastricht sono state sospese ma nel 2023 è previsto che ritornino in vigore le regole relative alla disciplina fiscale così come la supervisione della Commissione. Da un punto di vista ciclico, con la pandemia ancora in corso, questo ritorno alle normative precedenti richiederebbe agli Stati di adottare un’austerità eccessiva e potrebbe far deragliare la traiettoria di crescita, ancora fragile sul continente.

È necessario un nuovo quadro fiscale

Da un punto di vista strategico, il ritorno alla rigida interpretazione delle regole di Maastricht potrebbe anticipare il risultato dell’attuale revisione strategica della governance fiscale della Commissione. In particolare, gli accordi sul clima di Parigi stabiliscono obiettivi non solo ambientali, ma anche spese necessarie per i singoli Paesi, con un’impostazione storicamente rigida per impostare politiche fiscali in gran parte obsolete.

Inoltre, il contesto di bassa crescita e bassa inflazione del passato ha lasciato il posto a una nuova sfida: un’inflazione più alta e la prospettiva di un rallentamento della crescita post Covid, o stagflazione.

Sommato alle complesse regole del Patto di stabilità e crescita, questo significa che l’attuale meccanismo di politica fiscale è sempre più prociclico, che aggrava le recessioni e allo stesso tempo non riesce a riportare i bilanci in attivo quando le economie registrano una crescita sostenuta.

Come si è visto negli ultimi decenni, questo stato di cose ha portato una riduzione degli investimenti del settore pubblico e, in particolare, a investimenti insufficienti in infrastrutture moderne e nuove tecnologie.

Di conseguenza, non si può prescindere da un compromesso che consenta un’interpretazione molto flessibile delle regole. Idealmente, però, per sostenere l’investimento in infrastrutture moderne e un progresso tecnologico, dovrebbero arrivare riforme più chiare, sviluppo naturale sulla scia del piano Next Generation EU.

Fortunatamente, il 2022 porterà intensi negoziati per ridefinire il quadro della politica di bilancio europea. Il lavoro svolto da diverse organizzazioni europee si è tradotto in quattro temi di discussione, e il prossimo anno potrebbe portare una serie di misure, tra cui:

  1. Riesame dei parametri riguardanti i disavanzi (3% del Pil) e il debito (60% del Pil). Questi indicatori potrebbero essere rivisti al rialzo per tenere conto del contesto attuale, ma ciò implicherebbe una revisione dei trattati europei, che richiederebbe molto tempo.
  2. Maggiore flessibilità nella valutazione dei parametri concernenti disavanzo e debito pubblico e aggiustamenti più rapidi per ogni singolo Paese. In tal modo è probabile che l’analisi si focalizzi sulla spesa pubblica netta piuttosto che su complessi calcoli del disavanzo. Non computando gli investimenti strategici nella spesa pubblica ordinaria ai fini del calcolo del disavanzo, le regole potrebbero essere ammorbidite senza imbrigliare gli investimenti.
  3. Il piano NGEU potrebbe essere reso permanente. Lo scopo sarebbe sviluppare una versione europea del Fondo monetario internazionale per fornire una risposta fiscale e monetaria con criteri di convergenza a medio termine su misura, aiuti ciclici e la capacità di rispondere a shock esterni con le proprie risorse permanenti, grazie a trasferimenti di fondi in nome della solidarietà tra Stati membri.
  4. Un ruolo più importante per il Parlamento europeo nel processo di bilancio.

Per questi cambiamenti sarà importante per mettere in risalto il valore della spesa pubblica strategica e trasformare il processo fiscale da un ostacolo a un catalizzatore del cambiamento.

Inoltre, come si è visto nell’era della pandemia, questa flessibilità può portare resilienza contro gli shock esterni e aiutare a facilitare l’azione fiscale e monetaria coordinata che ha aiutato l’Europa a superare la tempesta degli ultimi anni.

Certo, tutti questi cambiamenti devono essere costruiti sull’assunto fondamentale che esiste oggi: che il debito europeo e i debiti degli Stati membri devono rimanere sostenibili sia agli occhi dei contribuenti che dei mercati.

Fa ben sperare, però, che l’accordo e l’attuazione di tale nuovo approccio abbiano il potenziale per aumentare la crescita potenziale, porre fine al declino della produttività e consentire all’Europa di superare la sfida dell’invecchiamento della popolazione: tutti fattori cruciali per assicurare la sostenibilità di questo debito, come la trasformazione del Continente nel decennio a venire.

Con il Next Generation EU Recovery Fund e gli impegni sul clima degli accordi di Parigi come punto di partenza, gli investitori dovrebbero concentrarsi sulle opportunità connesse al crescente ruolo di leadership dell’Europa nella transizione energetica globale, oltre che sui benefici immediati degli investimenti del Recovery Fund: ancore importanti per le allocazioni in Europa nel prossimo futuro.