Il ruolo delle criptovalute nel conflitto russo-ucraino

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In generale, il mese di febbraio ha visto uno step positivo sulla strada per la ripresa delle criptovalute, con il Bitcoin che è cresciuto dell’8,3% e l’Ether del 10,4%. Inoltre, lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha portato queste valute, ma anche gli asset digitali tutti, ad avere un ruolo centrale nelle questioni geopolitiche su entrambi i fronti. Prima di proseguire, è necessario specificare che da quando sono iniziate le ostilità tra i due paesi, lo scorso 24 febbraio, si sono già registrate conseguenze nefaste, in primis dal punto di vista umanitario, con vittime da entrambe le parti e con una grossa crisi legata alla questione dei rifugiati; è naturale che un simile scenario abbia avuto conseguenze negative su tutti i mercati, da quello dei future azionari a quello delle cripto stesse.

Tuttavia, le criptovalute sono legate a uno uno dei pochi episodi positivi osservati in questa guerra: secondo quanto riportato da Elliptic, il governo ucraino avrebbe ricevuto un ammontare senza precedenti di donazioni proprio in asset digitali (oltre 26mila), per un valore di circa 24,6 milioni di dollari; una manna dal cielo in un conflitto caratterizzato da forti tinte cyber. Sulla falsa riga di quanto avvenuto in passato con le misure a sostegno del Venezuela.

 

 

Dall’altro lato, però, sono finite al centro dell’attenzione anche nel versante russo. Prima dell’invasione, lo scorso 8 febbraio, la Russia ha accettato di modificare le leggi vigenti e, in particolare, si è assistito a una vera e propria inversione a U sulla proposta della banca centrale locale di bandire le attività dei miner e una lunga serie di operazioni connesse agli asset digitali, che si presumeva potessero andare a danneggiare il sistema finanziario del paese.

Provvedimenti simili hanno il chiaro intento di evitare le conseguenze derivanti dalle sanzioni che hanno colpito la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, le quali hanno portato il rublo a cedere quasi il 30% del suo valore e hanno spinto gli equity provider a definire la nazione come “non investibile”, rimuovendone le quotazioni dai tutti gli indici. Queste sanzioni prevedono l’esclusione di numerose banche locali da SWIFT, il principale sistema di pagamenti internazionale; il congelamento delle proprietà del presidente Putin, del suo ministro degli esteri Lavrov e anche della Banca Centrale Russa; fino all’applicazione di misure economiche espansive che andrebbero a minare le finanze della nazione. Tuttavia, a differenza di quanto si pensa, noi di 21SHARES prevediamo un maggiore ricorso alle CBDC (Central Bank Digital Coin), in quanto più facili da controllare e sorvegliare rispetto alle criptovalute tradizionali, che sono completamente tracciabili, e non soggette a provvedimenti sulle piattaforme di scambio come quelli che hanno interessato Kraken il mese scorso.

Infine, è importante segnalare che un ruolo di primo piano non è giocato solo dalle criptovalute in quanto riserva di valore e mezzo di pagamento alternativo, ma anche dalla tecnologia blockchain e Web3 in senso più ampio. Un esempio è Arweave, un protocollo per la conservazione e la preservazione di grandi quantità di dati, completamente nativo digitale, basato su tecnologia blockchain e che al momento accoglie quasi 9 milioni di file che documentano la crisi in corso. Lo scopo è quello di impedire alla Russia e ai regimi dittatoriali in generale di riscrivere la storia per il proprio tornaconto. Inoltre, è stato sviluppato uno strumento javascript per recuperare notizie da una varietà di fonti sul conflitto russo-ucraino e caricarle automaticamente nell’archivio sempre più grande di Arweave. La tesi condivisa all’interno di 21SHARES è proprio che le principali applicazioni della tecnologia blockchain e degli strumenti Web 3 si materializzano soprattutto sulla scia dei conflitti geopolitici.