Il settore delle macchine industriali e le opportunità offerte dal commercio internazionale

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“I dati 2021 relativi all’export del mercato italiano delle macchine industriali fanno ben sperare: lo scorso anno questo settore ha, infatti, chiuso a 6,3 miliardi di euro (+22,1%). Le esportazioni si sono attestate a quota 3.360 milioni di euro (+17,4%) e hanno registrato un andamento positivo nella quasi totalità dei paesi di sbocco, con l’eccezione della Cina: in Germania le vendite sono cresciute a 256 milioni di euro (+38,4%); negli Stati Uniti 251 milioni (+9,7%), in Cina 154 milioni (-5,3%), in Polonia 118 milioni (+29%) e in Francia 117 milioni (+1,2%)” dichiara Marta Bonati, Country Manager di Ebury, società fintech specializzata in pagamenti e incassi internazionali in valute estere, soluzioni di gestione del rischio cambio e finanziamenti all’importazione.

Da un’analisi dei dati emerge, inoltre, che anche per il 2022 è previsto un trend in crescita: nel 2022, la produzione crescerà del +10,9% (rispetto al 2021), trainata dalle esportazioni che si attesteranno a 3.620 milioni di euro (+7,7%) e dall’incremento delle consegne dei costruttori sul mercato interno che saliranno a 3.395 milioni di euro (+14,5%).

Con più di 860mila addetti, il settore riveste un ruolo di primo piano, capace di generare il 28% del valore aggiunto della nostra manifattura e il 4,7% del PIL nazionale. Questo segmento di mercato raggruppa al proprio interno realtà eterogenee, tra cui spiccano quelle dell’ingegneria meccanica: dei 120 miliardi di export del comparto, 80 derivano proprio dai prodotti di questa filiera. Una vera e propria eccellenza riconosciuta a livello internazionale, con volumi di fatturato secondi in Europa solo a quelli della Germania.

Il commercio con i paesi UE ed extra UE è pertanto fondamentale per un tessuto imprenditoriale come quello italiano, costituito principalmente da distretti industriali di microimprese e PMI, la cui vocazione all’export rappresenta il motore della crescita. Gli scambi commerciali con i Paesi fuori dall’area euro espongono, però, anche le imprese di questo settore ai rischi legati al tasso di cambio e ed alla relativa volatilità, soprattutto nell’attuale contesto geopolitico molto incerto. Ad esempio, le fluttuazioni dei tassi di cambio possono portare ad un deprezzamento della valuta estera che un’impresa ha concordato con i propri clienti come mezzo di pagamento e di conseguenza ad una contrazione del controvalore in euro dei ricavi. Lavorare con valute diverse dall’euro espone quindi l’azienda a maggior incertezza e rappresenta un fattore di volatilita’ per il risultato economico a fine anno.

Di fronte a questa molteplicità di eventi che potrebbero rendere incerti gli incassi e i pagamenti esteri, è consigliabile rivolgersi a professionisti operanti presso società specializzate nella gestione di flussi internazionali e nella copertura del rischio di cambio. Il mondo delle fintech può, infatti, supportare le imprese operanti in questo mercato, attraverso soluzioni ad hoc:

  • attraverso alcune piattaforme fintech è possibile ricevere i fondi provenienti da paesi esteri direttamente nella propria valuta, effettuare pagamenti multivaluta in tutto il mondo e inviare denaro a fornitori, dipendenti e partner commerciali in tempi molto rapidi, riducendo la conseguente esposizione al rischio;
  • è possibile ottenere linee di credito, con opzioni di rimborso fino a 150 giorni dopo, per finanziare le importazioni internazionali, pagare i fornitori in anticipo ed essere supportati con il capitale circolante; questo consente di avere adeguati flussi di cassa al fine di accelerare la crescita dell’attività oltreconfine;
  • attraverso contratti a termine fisso, o flessibile, è possibile “bloccare” il tasso di cambio e usufruirne in futuro per proteggere la propria azienda dalla volatilità del mercato valutario.

“Possedere partner affidabili è, pertanto, fondamentale per poter gestire al meglio i rischi che si presentano nell’accesso a nuovi mercati, per ampliare le opportunità di business e aumentare la propria competitività” conclude Marta Bonati.