Azionario europeo, inflazione e crisi impattano i mercati più che le aziende

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Di recente, un insieme di fattori ha avuto un impatto sulla performance generale dell’azionario europeo. A inizio anno, il forte e improvviso aumento dei rendimenti obbligazionari ha provocato una correzione del mercato e una rotazione inizialmente piuttosto aggressiva. Abbiamo assistito a una brusca inversione di tendenza di titoli che avevano avuto una performance piuttosto solida per un periodo di tempo considerevole e viceversa. Si è trattato di una rotazione star, in cui il growth ha iniziato a sottoperformare, entrando in sell-off, e anche il value ha subito un forte balzo.

È chiaro che anche le pressioni inflazionistiche hanno influenzato il mercato, anche se questo non si sta ancora manifestando nei risultati sottostanti delle aziende.

Quindi, su base globale, la prossimità al cuore dell’Europa degli eventi in Ucraina ha fatto sì che la regione rimbalzasse in modo non così aggressivo come il resto del mondo. Eppure nonostante ciò, durante il calo di gennaio e febbraio, l’Europa ha resistito relativamente meglio perché è più orientata al value e ha più credenziali value rispetto al mercato statunitense.

A livello macro, in termini di prospettive a medio termine, ci aspettiamo ancora una crescita decente del PIL, ma le  variabili energetiche, le materie prime e le forze geopolitiche in gioco potrebbero spostare queste aspettative in un senso o nell’altro. E questo è un aspetto molto difficile da prevedere.

Le pressioni inflazionistiche e il rallentamento della crescita rappresentano il rischio maggiore, dato che rendono il lavoro delle banche centrali molto più difficile di quanto non sia stato negli ultimi dieci anni. Ma dobbiamo ricordare che il mercato azionario non è l’economia e dobbiamo quindi continuare a concentrarci su queste dinamiche a livello societario, dove abbiamo maggiori conoscenze, livelli diconviction molto più elevati e possiamo guardare ai trend futuri con molta più certezza.

Detto della grande incertezza che caratterizza questo periodo, è da sottolineare che dal punto di vista del posizionamento dei portafogli, il nostro obiettivo è quello che perseguiamo da sempre: investire in grandi aziende che generano rendimenti stabili più elevati rispetto al capitale investito. Queste aziende sono tipicamenteasset light, cioè a basso consumo di risorse, quindi la loro crescita non costa molto. Le aziende con queste caratteristiche possono reinvestire in loro stesse anno dopo anno, guadagnando il rendimento sottostante dell’attività, rendendo il valore per gli azionisti molto interessante per un lungo periodo di tempo.

Queste aziende hanno in genere una forte posizione competitiva, un potere di determinazione dei prezzi, buoni team di gestione con un moat, un vantaggio competitivo, relativo al marchio. E questo vale sia in tempi normali sia in tempi di crisi come quelli attuali.

Del resto, l’aumento dei prezzi delle materie prime, le interruzioni della supply chain e l’aumento dell’inflazione, che hanno influito sulle azioni europee, sono fattori che hanno avuto un impatto sui mercati azionari più che sulle aziende stesse. E al momento, le aziende stanno facendo fronte alla situazione. In definitiva, vediamo correlazioni positive con i margini e l’inflazione nel corso del tempo.

Tuttavia, è necessario continuare a monitorare la situazione. Se l’inflazione dovesse essere persistente ed elevata per un periodo sufficientemente lungo, potremmo assistere a una distruzione della domanda. E ovviamente questo sarebbe un problema. I vincoli della supply chain si sono un po’ allentati in alcune aree, ma altrove continuano a farsi sentire, basti pensare al lockdown che abbiamo visto a Shanghai.

A livello aziendale, questo ha portato molte aziende a rivalutare il numero di fornitori, la loro distribuzione geografica, la quantità di scorte da tenere in un determinato periodo di tempo. E tutto ciò ha un costo. Ciò significa che le aziende di qualità più elevata possono migliorare e aumentare il loro moat perché sono più resilienti, mentre le aziende di qualità inferiore e a basso rendimento non possono farlo e quindi vedono diminuire la loro competitività.

Se volessimo tradurre tutto ciò in termini di opportunità in settori o Paesi specifici, bisognerebbe partire dal fatto che il nostro metodo è molto bottom-up. Guardiamo quindi alle aziende che si sviluppano nei settori e nei mercati nel loro complesso, mai alle opportunità a livello di settore o di Paese, di per sé. Nonostante ciò, ci sono sicuramente delle dinamiche interessanti in un paio di aree diverse. Ad esempio, nel Regno Unito, che è stato per lungo tempo un mercato molto negativo, in particolare dopo il voto sulla Brexit nel 2016. All’inizio dell’anno scorso, si è registrata una maggiore risoluzione degli accordi sulla Brexit, il che ha portato a un grado di chiarezza – o a mancanza di opacità, ora rimossa.

In conclusione, si potrebbe cadere nella tentazione di mettere in contrapposizione i mercati azionari statunitensi ed europei. È chiaro che tra Stati Uniti ed Europa c’è una grande differenza nella costruzione del mercato. Gli Stati Uniti sono molto orientati alla tecnologia e al growth, mentre nei mercati europei ci sono molti più titoli finanziari, che cioè sono orientati al value. Tuttavia, la composizione degli indici aggregati in Europa è in continua evoluzione e sono in arrivo un numero crescente di aziende del settore tech, che sta modificando la composizione del mercato.

In sostanza, non ci piace pensare alla situazione attuale come a una contrapposizione tra Stati Uniti ed Europa, perché in realtà stiamo esaminando un sotto-settore di titoli all’interno dell’Europa che assomiglia molto di più al mercato statunitense rispetto al livello aggregato dell’Europa. L’Europa ha resistito molto meglio alla flessione dei mercati perché ha una maggiore quota di titoli finanziari e value, che hanno risposto abbastanza bene all’aumento dei tassi d’interesse e questa sarà probabilmente la dinamica predominante nel medio termine.