Brutal Tenderness

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Studiolo e Golab Agency sono lieti di presentare Brutal Tenderness, un progetto collettivo che raggruppa il lavoro di nove artiste nate tra il 1997 e il 2000: Livia Bertacca (1999, San Miniato), Elisa Diaferia (1998, Milano), Ludovica Gugliotta (1997, Roma), Viola Morini (1997, Milano), Rebecca Picci (1999, Cagliari), Alice Pilusi (Atri, 1997), Vittoria Toscana (1998, Milano), Eva Vallania (1997, Milano) e Francesca Vanoli (2000, Treviglio).

La mostra si concentra su una specifica selezione generazionale i cui risultati artistici – figli di un’eterogenea alchimia di sovrapposizioni e contraddizioni culturali e subculturali – prima ancora di manifestarsi nelle opere, si espandono nelle loro individualità, invadendo passioni, mode, gusti estetici e, con inaspettata coerenza, anche i loro account social.

Gli anni ’80 e ’90 ci avevano spinto a doverci sempre schierare, identificarci in uno specifico ghetto culturale: potevamo essere pop-dance o punk, techno o metallari, nerd o edonisti, anime o cartoon, role-playing lovers o finire le nostre paghette settimanali in gettoni per i picchiaduro… Al contrario i loro valori abitano nell’assoluta ibridazione, perché è indiscutibilmente più interessante “saccheggiare” (e rimanipolare) il meglio da più fronti che scegliere e godere di uno solo.

Il loro è un lavoro basato sulla negoziazione. Uno scambio perenne tra il sé e la cultura collettiva, alta e bassa – che ritrovano con molta facilità riposta negli scaffali di instagram o youtube e che conservano sempre con uno screenshot – dove le parole più utilizzate durante i nostri incontri in studio sono, appunto, “intreccio”, “legame”, “rapporto”, “connessione”, “convivenza”, “mix” o “esperimento” e i loro ig-feed schizofreniche sequenze in cui opere d’arte appena realizzate sono unite a references estetiche in forma di meme, selfies sfocati, flyers in grafiche new dark-goth, recondite scene da film (che non avresti mai potuto pensare potessero intercettare) e ancora infiniti stikers, glitter e icone fantasy fuse in atmosfere perennemente sweetly-ugly.

Se dovessimo individuare un denominatore comune capace di definirle, questo non potrebbe essere che il concetto di contrasto; le loro opere hanno stipulato un contratto di convivenza con il mondo intero, non facendo distinzione tra bello e brutto, ma con l’obiettivo di restituirci, sotto varie forme, la realtà del mondo imperfetto che abitiamo. In sintesi hanno abbandonato Beck mentre cantava “looser” da un palco e i bloggers spargere tutte le loro vite patinate in rete, loro oggi sono più interessate ad essere cenerentole finite casualmente – ma forse non troppo – nella mischia di un pogo, o delle fate dalle coroncine luccicanti sedute su un gradino di Viale Padova con le birre rotte intorno.